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Di Fabio Bettoni
In foto: La medaglia della Marcia su Roma
A metà settembre del 1922, si stava delineando un possibile accordo tra l’ala riformista dei Socialisti e i Popolari sulla individuazione di talune basilari garanzie democratiche. Il quotidiano torinese “La Stampa” del 20 settembre riportò Il pensiero del gruppo senatoriale sulla condotta del Partito Popolare; ecco uno stralcio assai significativo di quel pensiero del tutto ostile alla ipotizzata convergenza: «Il programma del Partito popolare rimarrà sempre assolutamente inconciliabile con chi professa la negazione di ogni fede religiosa, la negazione di ogni fede patriottica, la negazione di ogni ordine familiare. Credere a certe intese parlamentari ibride e in fondo assurde con uomini e cose ligi al programma che ha per divisa ‘senza Dio, senza Patria, senza Famiglia’, sarebbe errore che corromperebbe l’anima del nostro popolo».
Il 20 settembre, B. Mussolini tenne un roboante, violento, comizio ad Udine alla presenza di 2.200 camicie nere. Il canonico d. Celestino Bordoni sulla “Gazzetta di Foligno” del 23 settembre scrisse un articolo di fondo, titolato: Se non saranno discordi!; esso si modulava su quella lunghezza d’onda. Eccone uno stralcio: «Quando anche sembra tutto in pericolo il popolo nostro ritrova sempre in se stesso la forza per salvare e salvarsi. Due anni fa, la bufera bolscevica sembrava giunta a punto di tutto travolgere. Ebbene, in un batter d’occhi, è stata travolta essa. Contro i negatori della Patria è sorto un nuovo partito, che, in nome della nazione, si propone riavviare l’Italia nostra sul sentiero che la Provvidenza le ha aperto da secoli. Ma come può essere accelerato il cammino verso la risurrezione e la ricostruzione delle nostre fortune nazionali e tradizionali!? Messe da parte le sette, che pospongono gli interessi comuni a quelli privati, lasciate da parte tutte le piccole politiche agglomerazioni, che hanno nomi senza senso e programmi meschini, camminino di concerto come i binari che fanno correre la vaporiera: il nazionalismo e il programma cristiano. Contro i rinnegatori della patria il Nazionalismo, contro i rinnegatori di Dio, l’Idea cristiana, cattolica ossia universale. Convergendo queste due grandi forze, coordinando queste due grandi idealità, l’Italia non può fallire alla sua missione; deve rapidamente raggiungere quella floridezza all’interno e quella autorità all’estero, che le competono. L’Italia è una nazione, una grande nazione, con quasi tutti i confini che Natura pose, ma l’Italia è cristiana e cattolica ed appunto perché cattolica ha il segreto della sua grandezza. […] Ah! se le energie fresche di nazione e di fede saranno d’accordo, l’Italia sarà grande e sarà prospera, perché come scriveva Pasquale Villari, l’Italia o sarà cattolica o non sarà».
Nel corso della marcia fascista su Roma dei giorni 27 ottobre/1° novembre, e precisamente il 30, BM ricevette l’incarico dal Savoia di formare il nuovo governo che il 31 nasceva nell’apparente rispetto dello Statuto Albertino. Del ministero partecipavano: tre fascisti, due popolari, due democratico-sociali (a questo raggruppamento aveva fortemente “lavorato” da Foligno Francesco Fazi), due liberali (più propriamente fascio-liberali appena venuti alla luce l’8 ottobre), due militari, un nazionalista, un indipendente. Il 16 novembre, il neopresidente del consiglio si presentò in Parlamento: Potevo fare di quest’aula sorda e grigia un bivacco di manipoli. Potevo sprangare il Parlamento e costituire un governo di soli fascisti. Potevo, ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto.
Di lì a poco (la data resta sconosciuta), un Anonimo, ma da ciò che scriveva e da come lo scriveva autorevolissimo personaggio cattolico e filo-fascista, inviava alla Segreteria di Stato del Vaticano un lungo, dettagliato rapporto titolato Dalla crisi dello Stato liberale alla marcia su Roma. Il documento, pubblicato dallo storico gesuita Giovanni Sale (Popolari e destra cattolica al tempo di Benedetto XV, Milano, Jaca Book, 2005) cominciava così: «Gli avvenimenti svoltisi in questi ultimi giorni in Italia dovrebbero costituire – come tutti sperano – la conclusione di un movimento politico che già da alcuni anni andava lentamente maturandosi. Il movimento fascista, infatti, ha avuto inizio durante la guerra e la sua prima manifestazione concreta fu quel Fascio Parlamentare per la Difesa Nazionale che fu costituito nell’ottobre 1917 immediatamente dopo il disastro di Caporetto. Nella sua denominazione stessa ‘per la difesa nazionale’ era chiaramente indicato il suo scopo». (Faccio notare che, collegare le origini fascistiche al nazionalismo, ha lo scopo di definire un’anteriorità del nazionalismo stesso sul fascismo di BM, onde svincolare i destini del movimento nazionalista da un eventuale fallimento del fascismo.) A conclusione di questo fondamentale testo, da considerare una puntuale pagina di storiografia, l’Anonimo osservava: «giustizia vuole si tenga conto che molti degli uomini dirigenti il fascismo sono animati da pura e viva fede. Sono giovani che hanno fatto la guerra guadagnandosi medaglie al valore, che hanno, poscia, affrontato la morte ogni giorno sulle vie e sulle piazze d’Italia dacché la guerra civile è stata scatenata, non guidati da altro che dalla grande idealità di ricostruire economicamente l’Italia […] Quando si vide questo giovane partito combattere le lotte sanguinose come quelle combattute animato dal proposito di dare alla Nazione un governo, di restituire alle leggi la loro autorità, di ricostituire economicamente, finanziariamente il Paese restaurando contemporaneamente, e soprattutto la coscienza nazionale, così gravemente depressa, se non addirittura annullata dall’opera dei partiti demagogici, la Nazione, di fronte a questo spettacolo nuovo di volontà e di forza, cominciò a seguire con vera passione – più che con favore – il movimento fascista vedendo, ormai, in esso speranza della propria resurrezione. Quando il partito fascista, perciò, conquistò, testé, il potere, il Paese non diede importanza ai mezzi violenti di cui si avvalse, ma guardò solo all’alto fine da cui era animato. Applaudì quindi all’avvento del nuovo Governo ed è pronto a sostenerlo anche perché comprende che un suo fallimento farebbe ricadere la Nazione in un abisso, in un caos spaventevole. Questa è un’altra forza – la maggiore forse – di cui il nuovo Governo dispone. Guai se esso non sapesse profittarne e dovesse procurare una disillusione!» (Secondo l’Anonimo, dunque, la guerra civile fu innescata e fomentata dai “rossi”, e quella fascista altro non fu che la inevitabile, necessaria risposta. Un vero capovolgimento della realtà effettuale di ciò che Angelo Tasca definì una controrivoluzione postuma e, allo stesso tempo, preventiva.)
Sulla “Gazzetta di Foligno” del 18 novembre, il fondo di d. Celestino esaltava La rude parola dell’on. Mussolini, ovvero i discorsi d’insediamento alle Camere dello spiritato epilettico, ed iniziava a questo modo: «Forse in nessun parlamento del mondo civile un presidente del governo ha mai usato una così forte asprezza di linguaggio, come l’on. Mussolini ai rappresentanti della sovranità nazionale italiana, nelle sedute del 16 corrente». Dal 1919 ad oggi, il Parlamento, soprattutto la Camera elettiva condizionata dalla presenza dei social-comunisti ha dato il peggio di sé; perciò era «tempo che la commedia indecente finisse e che un uomo forte desse una lezione solenne e diremmo sgarbata, quale si meritavano i traditori del popolo. Così l’on. Mussolini segna una tappa marcatissima, storica, non solo pel modo che lo ha condotto al potere, ma pel genere di eloquenza che si distanzia tanto dalla consueta e rituale, colla quale gli altri suoi predecessori si sono presentati al giudizio del Parlamento. Parola rude, chiara, sincera ha usato l’on. Mussolini per dire ‘che vuole egli i pieni poteri’ e che ‘il Paese vuole fatti e non chiacchiere’. […] C’è pertanto, finalmente, un governo, e c’è a presiedere il governo un uomo, un dittatore, aspro e reciso, con un programma semplice e chiaro. […] ‘Così Dio mi assista’, ha concluso l’on. Mussolini, e questa fede in Dio, che mai nessun capo di governo ha invocato solennemente in Italia, sia la sua guida e la sua forza, perché e dogma di storia, che ‘se Dio non protegge la città, veglia inutilmente quegli che la custodisce’».
Due anni prima della fascio-concione di BM tanto applaudita da d. Celestino, su “Avanti!” del 20 novembre 1920, l’ancora formalmente socialista (ma già comunista) Antonio Gramsci s’era domandato Quale reazione? La risposta non poteva essere che una: «Oggi le grandi masse popolari partecipano alla lotta economica e alla lotta politica: oggi la necessità di strappare il pane di bocca ai lavoratori industriali e agricoli è divenuta assillante per il capitalismo. Occorrono i grandi mezzi: lo Stato borghese deve farsi sempre più reazionario, deve sempre più direttamente e violentemente intervenire nella lotta delle classi, per reprimere i tentativi che il proletariato fa nella via della sua emancipazione. Questa reazione non è solo italiana essa è un fenomeno internazionale, perché il capitalismo non solo in Italia ma in tutto il mondo è divenuto incapace a dominare le forze produttive. Il fenomeno del ‘fascismo’ non è solo italiano, così come non è solo italiano il formarsi del partito comunista. Il ‘fascismo’ è la fase preparatoria della restaurazione dello Stato, cioè di un rincrudimento della reazione capitalistica, di un inasprimento della lotta capitalistica contro le esigenze più vitali della classe lavoratrice. Il fascismo e l’illegalità della violenza capitalistica: la restaurazione dello Stato è la legalizzazione di questa violenza: è nota la legge storica che il costume precede il giure».