Parole e Idee

Appunti di viaggio

Una "normale" conversazione in treno, di Francesco Valecchi.

#ascuoladicittadinanza
Di Francesco Valecchi
In foto: George Orwell


       

È una mattina di luglio che già annuncia un caldo feroce e mi aspetta un lungo viaggio in treno.

Mi siedo in uno scompartimento, nell’unico posto vuoto dei quattro disponibili. Alla mia destra c’è una signora abbastanza giovane, intenta ad armeggiare con il suo smartphone. Di fronte alla signora c’è una suora anziana che sta leggendo un libretto. Davanti a me, un uomo di mezza età sta sfogliando un giornale e ogni tanto sbuffa, evidentemente infastidito dalle notizie che sta leggendo.

Il treno parte e, dopo un po’, il finestrino inquadra una campagna bruciata e assetata

  • Non se ne può più! Non se ne può più!  ̶  esclama ad un tratto il signore che legge il giornale, chiudendolo nervosamente e guardandomi da sotto gli occhiali che porta sulla punta del naso.

Capisco che vuole attaccare discorso.

  • Cos’è successo?  ̶  gli chiedo io, che non ho fatto in tempo a comprare il giornale, né a dare una sbirciata alle news sullo smartphone.
  • Cosa non è successo,  ̶  dice lui, che aggiunge:  ̶  Ogni giorno è un elenco di rapine, omicidi, stupri, scostumatezze varie e chi più ne ha più ne metta …
  • Forse è il prezzo della modernità … ̶  azzardo io.
  • Ma quale modernità! Glielo dico io quel che ci vuole. Qui ci vuole un governo forte, guidato da un leader vero che rimetta le cose a posto e faccia filare tutta questa feccia che ci circonda  e ci ammorba … .
  • L’ultima volta che abbiamo invocato l’uomo forte ne siamo usciti con il paese distrutto, migliaia di morti e invalidi e l’infamia perenne delle leggi razziali ….
  • E allora andiamo avanti così, con questa vergogna quotidiana. Lo sa che ci sono quartieri e periferie invivibili, fette del nostro territorio in mano a bande di delinquenti, che la droga continua a macinare migliaia di vite giovani …?
  • Lo so. Come so che i poteri forti e criminali sono tanti e in molti casi ben nascosti, spesso camuffati di perbenismo. So che siamo il paese dell’evasione fiscale e dei condoni, delle leggi ad personam, delle clientele sfacciate, di politici parolai che spesso dicono una cosa e ne fanno un’altra …. Una democrazia si regge su diritti e doveri da rispettare da parte di tutti. Dobbiamo scoprire la fogna e non coprirla con la foglia di fico dell’uomo forte, che magari mette a tacere il potere giudiziario e indossa la maschera dell’onestà, perché tanto nessuno sarà in grado di svelare le sue malefatte e quelle dei suoi accoliti …

Il signore del giornale sbuffa, guarda fuori e poi, fissandomi quasi minaccioso, mi chiede:

  • E allora lei, mi dica, lei che cosa propone?

Anche la signora, che mi sta accanto, ha smesso di smanettare sul suo smartphone e ci guarda perplessa. La suora, invece, continua a leggere.

  • Bisogna educare i giovani alla democrazia e la democrazia si fonda su diritti e doveri. Non ci sono alternative. Ma la democrazia deve funzionare, deve essere continuamente migliorata e questo è un compito al quale devono essere preparati tutti i cittadini che devono essere coscienti che la democrazia ha due nemici storici da combattere costantemente: la tirannide, oggi diremmo le dittature, i regimi totalitari, e l’oligarchia, il governo dei pochi o dei ricchi che spesso si serve proprio della dittatura per conservare i propri privilegi.
  • La democrazia …! La solita ammucchiata che non risolve niente e lascia tutto com’è …! Ci deve essere qualcuno che faccia da guida sicura, qualcuno in cui riconoscersi, qualcuno che incarni le virtù della nazione, che dica ciò che è bene e ciò che è male e che faccia rispettare l’ordine e dia ai cittadini certezze e ideali ….
  • I suoi ….
  • No, signor mio,  ̶  incalza lui con una smorfia  ̶  i nostri. Egli interpreta i desideri, le tradizioni, i bisogni di un popolo. Sa motivare e dirigere come un padre di famiglia, punisce severamente chi non rispetta le regole, mette dentro i criminali ….
  • E chi non la pensa come lui.  ̶  lo interrompo io  ̶  Ogni cittadino maturo dovrebbe sapere cosa è bene e male per lui e per la collettività di cui fa parte. Questo è un compito educativo. L’educazione è il vero cuore di una democrazia. Purtroppo ce ne siamo dimenticati. Prevale l’effimero, il disimpegno, dove molti macinano rabbia e rancori inespressi, ma anche dove domina il divertimento facile facile, usato come scacciapensieri e per de-responsabilizzare.
  • Un inedito damnatio ad ludum, come mezzo per non far pensare o per un pensare leggero leggero.  ̶  dice la signora.
  • Date retta a me,  ̶  insiste l’uomo del giornale  ̶  a questo paese manca un padre e se in una famiglia manca il padre, ognuno tende a fare quel che gli fa più comodo.
  • Il padre ce lo dovremmo avere dentro ….  ̶  afferma all’improvviso la suora, che ha smesso di leggere e ha messo un dito tra le pagine, a mo’ di segnalibro, nel suo volumetto.
  • Sì, lo so sorella, il Padreterno;  ̶  la interrompe l’uomo  ̶  ma vada a dirlo a questa banda di miscredenti che non hanno più patria e che non rispettano niente e nessuno, nemmeno la loro famiglia …. ̶  Poi, forse, si accorge che la suora voleva dire altro, si morde il labbro e si interrompe.
  • Il padre di cui parlo,  ̶  riprende infatti la suora  ̶  dentro di noi, dovrebbe avercelo messo l’educazione che ognuno dovrebbe aver ricevuto. Valori, ideali, fini si costruiscono insieme a scuola, in famiglia, in parrocchia, nello sport, nel tempo libero, nel lavoro, nel partito. Si fondano sul rispetto per se stessi, per l’altro e per il creato …
  • La democrazia .  ̶  aggiungo io  ̶  si fonda sulla coscienza di valori comuni. Purtroppo i nostri politici se ne sono dimenticati e hanno abbandonato la scuola a se stessa. Per avere un’idea di questo disimpegno basta vedere lo stato miserando in cui versano i nostri edifici scolastici, i tagli ai bilanci degli istituti, l’incapacità di formulare una qualsiasi proposta di riforma seria e complessiva che sappia guardare al futuro …
  • I nostri politici dimenticano troppo spesso che rappresentano una democrazia e soprattutto che il loro è un compito di servizio; sembrano ricordarsene ogni cinque anni, al momento del voto, per il resto passano il tempo a blaterare in tv  ̶  mi interrompe la signora.
  • Se si regge, la scuola di questo paese, è per la passione e lo zelo di molti insegnanti, non certo per l’impegno della politica. Ma dalla scuola dipende il funzionamento della società. Abbiamo bisogno di ridare valore alla scuola, di puntare a una scuola di qualità.  ̶  concludo.
  • Allora lei sarà d’accordo con l’autore di questo articolo  ̶  e l’uomo mi legge, dal giornale che stava sfogliando: “La scuola è nata per istruire e dalla convinzione che l’istruzione, in quanto tale abbia un potere educativo”.

Lo interrompo:

  • No, non sono d’accordo. La scuola è nata per educare, formare (nel senso di dare una forma) e istruire i cittadini di una democrazia che si fonda sui valori della Costituzione. Ridurre il suo compito alla sola istruzione e limitare le pratiche di formazione alla sola preparazione delle menti per il mercato del lavoro è, a mio modo di vedere, un modo per fuggire dal grande e reale compito educativo, che è quello di preparare alla vita.
  • Ma a educare ci deve pensare la famiglia!  ̶  esclama l’uomo col giornale  ̶  O vogliamo togliere alla famiglia anche questo compito? Io penso che la famiglia sia sotto attacco e che la si voglia distruggere, esautorandola dai suoi doveri più sacri.
  • Io credo che nessuno, sano di mente, voglia distruggere la famiglia. Il problema è se attualmente la famiglia, quella di oggi, non quella ideale, sia in grado di svolgere questo compito difficile, ma fondamentale, per la società e per una società democratica. Se la famiglia non può o non lo sa fare, chi insegna alle giovani generazioni a vivere e a con-vivere, a rispettare l’ambiente e le cose di tutti? Se la scuola non si assume questo compito, non crede lei che corriamo il rischio concreto che le nuove generazioni crescano senza modelli, senza ideali e senza regole? La domanda è: Chi educa? La televisione? Il cinema? Il gruppo dei pari? Internet? I gruppi sportivi, in cui quel che conta è spesso solo la competizione o la prestazione?
  • Quanti modelli dis-educativi passano attraverso i mass media? Quanta violenza? Quanti esempi presentati strizzano l’occhio al crimine, a chi invita a schivare ogni regola per arrivare al successo o all’egoismo più assoluto?  ̶  aggiunge la suora.
  • L’educazione è compito esclusivo della famiglia, ripeto.  ̶  interviene l’uomo  ̶  La scuola deve istruire. Del resto c’è il Ministero dell’istruzione, mica quello dell’Educazione. La scuola serve per preparare le giovani generazioni al mondo del lavoro. Dobbiamo avere bravi medici, avvocati, ingegneri, ma anche muratori, operai specializzati, tecnici ecc.. Chi è dotato per lo studio deve andare avanti, gli altri imparino un bel mestiere e non stiano a scaldare i banchi!  E poi, occorre dare più spazio alle scuole private per garantire il diritto di scelta delle famiglie. I bambini devono stare in famiglia con i loro genitori …. E poi basta, basta con tutto questo assistenzialismo! Quando tutti hanno imparato a leggere, scrivere e far di conto occorre separare chi ha voglia di studiare e chi no. Rimpiango l’avviamento, il vecchio, caro avviamento che preparava i ragazzi al mondo del lavoro. Lo stato deve essere leggero. Meno stato, più mercato. Meno tasse. Meno interventi statali. Giù le mani dalle nostre tasche! I giovani, se non hanno voglia di studiare, vadano a lavorare. “Chi non vuole lavorare, neppure mangi” , lo diceva San Paolo, vero sorella?

La suora, che ha ripreso a leggere il suo libretto, ha una sorta di sussulto, lo guarda perplessa e quasi sussurra:

  • Lasciamo stare San Paolo, che con il suo ragionamento non c’entra nulla….
  • Però bisogna ammettere che se i giovani andassero a lavorare, avremmo meno drogati, delinquenti a spasso, meno danni …. ̶  interviene la signora.
  • Non crede che il suo modo di ragionare abbia già fatto sufficienti danni?  ̶  dico io, rivolgendomi all’uomo  ̶  Che significa assistenzialismo? La sanità per tutti, la scuola di tutti, pensioni e salari dignitosi, cura per l’infanzia e per l’handicap, lotta alla povertà e alla disoccupazione, sono assistenzialismo? Si possono veramente privatizzare queste cose, senza creare disparità sociali devastanti? Il mercato deve essere sottoposto a regole, non può essere la giungla in cui prevale il più forte. Per quel che riguarda la scuola il suo ragionamento sarebbe giusto, se gli uomini, per nascita, si dividessero in due razze: gli intelletti superiori,  e i prolet di Orwell. Ma per fortuna non è così. A fare la differenza nelle capacità di apprendimento sono, in moltissimi casi, soltanto la povertà economica, culturale o sociale delle famiglie: le condizioni che creano ambienti deprivati e poveri di stimoli. Occorre anticipare e prolungare l’obbligo scolastico, diversificare i percorsi di apprendimento intensificando i percorsi di recupero personale. Solo così si può dare a tutti l’opportunità di accedere ai più alti gradi di istruzione. La selezione precoce, che lei auspica, serve solo a bloccare l’ascensore sociale: l’aspirazione di chi vorrebbe, ma non può, perché è nato in un ambiente che non gli ha consentito di fare le esperienze necessarie per sviluppare la propria mente o di arricchire il proprio linguaggio per accedere ai gradi più alti del sapere.
  • Sento spesso parlare,  ̶  interviene la suora  ̶  in senso negativo, di assistenzialismo, ma anche di buonismo. Forse dovremmo riflettere più sulle parole. Se assistenzialismo è il clientelismo sfacciato, il gioco mascherato del potere per ingraziarsi i cittadini, i favoritismi, che una volta si chiamavano nepotismo e che oggi sono appannaggio di partiti, ma anche di associazioni criminali, tutti siamo d’accordo nel condannare l’assistenzialismo. Ma ho paura che sotto il nome di assistenzialismo si vogliano far passare come negative le politiche di redistribuzione delle ricchezze, l’uguaglianza delle opportunità, di sostegno alle famiglie e ai redditi, al welfare, di lotta concreta alla povertà, per favorire un mercato sregolato, un’umanità malata da competizione e profitto … E buonismo, chi è buonista? Chi assiste chi sta male? Chi soccorre un proprio simile in difficoltà? Vogliamo demonizzare empatia, prosocialità, cura per gli altri, compassione, solidarietà, pietà, altruismo, giustizia, per costruire una società in cui ognuno veda nell’altro solo una possibile fonte di guadagno o di piacere? Le parole sono pietre, non slogan, signori miei. Stiamo attenti quando decidiamo di tirarle, non sappiamo mai su quali teste possono andare a finire …
  • O dentro quali teste ….  ̶   aggiunge la signora.
  • Il mercato richiede risorse.  ̶  riprende l’uomo, che aggiunge  ̶  Meno tasse significa più risorse per i cittadini che possono investire e gli investimenti creano lavoro e ricchezza. Certo è che, invece di stare seduti sul divano, i giovani devono tirarsi su le manicucce e andare a lavorare, non fare i bamboccioni fino a quaranta anni, tanto ci sono i nonni, le mamme o i papà …. Se si crea ricchezza, questa si ridistribuisce, la nazione cresce e l’economia galoppa e prima o poi stanno bene tutti. E poi, ormai è chiaro, non ci possiamo più permettere il cosiddetto stato sociale ….
  • Mercato, nazione, economia. Sta parlando di queste cose come se fossero antiche divinità a cui offrire olocausti.  ̶  reagisce la suora. ̶   Papa Francesco dovrebbe aver messo una pietra tombale su questo modo di ragionare quando ha detto che in realtà il bicchiere della ricchezza, quando si riempie per pochi, poi non trabocca e non dà ricchezza perché, a differenza di quel che avviene in natura, l’orlo del bicchiere della ricchezza tende ad alzarsi e non ne  fuoriesce nulla o quasi nulla. Il lavoro per tutti non c’è e, in queste condizioni, non ci sarà. C’è spesso solo qualche lavoruccio precario o in nero, che significa pagato poco, che non permette ai giovani di pianificare una propria vita. Il suo dio-mercato ha solo creato ricchezze smisurate e sfacciate per pochi e miseria per tanti. Apriamo gli occhi.
  • …. E a questi tanti vogliamo togliere anche la scuola, la sanità, delle pensioni dignitose …?

… E non è vero che non ci possiamo più permettere lo stato sociale. Basta scegliere di destinare le risorse nel modo giusto. Lo sviluppo del welfare è stata una delle poche note positive del secolo scorso …. ̶  aggiungo io.

  • Occorre eliminare i vincoli dello statalismo,  ̶  irrompe l’uomo con foga  ̶  che ha compiuto

solo disastri e lasciare spazio alla libertà e all’iniziativa dei privati! Un privato ha interesse              a far funzionar bene ciò su cui ha investito. Questo si traduce in un miglioramento dei servizi, in più voglia di investire e nuovi investimenti significano più lavoro. Solo così si ottiene uno stato che funziona.

  • Per far funzionare bene ciò che è pubblico occorre aver educato, educato le persone ad aver rispetto di ciò che è bene di tutti.  ̶   intervengo io, che aggiungo:  ̶  Nel nostro paese questo rispetto non c’è, perché troppo a lungo si è trascurato proprio l’aspetto educativo nelle pratiche pedagogiche e didattiche (Ciò che è di tutti non è di nessuno, sembra essere lo slogan prevalente) e si è dato spazio a un istruzionismo fine a se stesso, o finalizzato soltanto a creare ingranaggi per il mercato del lavoro, o per avere dei buoni consumatori abbacinati da bisogni indotti. Per far funzionare bene ciò che è di tutti occorre individuare, fissare, far rispettare severi indicatori e standard di qualità, tanto nei reclutamenti del personale quanto nelle condizioni dei servizi erogati.
  •  Allora ho ragione io;  ̶  sostiene l’uomo  ̶  Occorre una scuola che sappia ben istruire per avere medici, professori, ingegneri, manager, ma anche muratori, falegnami, idraulici, impiegati ecc., capaci nel loro lavoro ….
  • Avrebbe ragione se l’uomo fosse un computer, forse. Lo dotiamo di un bel software e quello fa perfettamente ciò per cui è stato programmato. Ma l’uomo non è una macchina. È molto di più. Intanto è dotato di due cose che la macchina non ha: il suo essere cosciente e la sua capacità di pensare autonomamente. Egli è mente, ragione, sensazioni, emozioni. Ha un bisogno vitale di relazionarsi con gli altri, di affetto, di bellezza, di risposte alle sue angosce di vita. Mi spiega lei che me ne faccio di un insegnante, magari preparatissimo nella sua disciplina, che non sa mettersi in sintonia con i suoi alunni, che non è in grado di comprendere le loro difficoltà o i loro bisogni, di relazionarsi con colleghi e famiglie? Mi sa dire quanto conta, in tutti i rapporti umani, la gentilezza, l’empatia, il rispetto per l’altro, la sincerità? Gli elementi dell’educazione, …. tutte cose che abbiamo dimenticato in questa frenetica e insensata corsa senza senso verso il successo, il denaro, i bisogni indotti.
  • Sì, si va bene,  ̶  ricomincia l’uomo  ̶  ma non ho capito bene che cosa propone.
  • Un sistema educativo a cui si riconosca il ruolo di perno della democrazia. Un sistema inclusivo che sia attento agli svantaggi, che cerchi di sviluppare al massimo le potenzialità di ciascuno. Che riconosca che l’unico fine del processo educativo è l’alunno. Questo alunno qui, che ha un nome e un cognome, che ha una sua storia, sue attese e che ci chiede attenzione e cura. Che non è l’elemento senza volto di una massa, ma che è unico e che rivendica la sua unicità. Che smettiamo di servire poteri astratti e inumani come se fossero divinità a cui sacrificare vite. Occorre riattivare quell’ascensore sociale che ha interrotto la sua corsa con l’avvento nefasto del turbo-capitalismo, quello nato negli anni settanta e ottanta e che è straripato dopo l’Ottantanove.
  • È la persona umana quella di cui lei sta parlando … ̶  suggerisce la suora.
  • Il turbo-capitalismo, che lei critica, ha creato ricchezza  e sviluppo … ̶  insiste ancora l’uomo.
  • L’alunno deve capire se stesso  ̶  riprendo io  ̶  gli altri, il mondo che lo circonda, l’ambiente culturale e naturale in cui è immerso: un mondo naturale bello e fragile di cui deve imparare ad avere cura, perché dalla salute di esso dipende anche la sua. Spero in una scuola in cui i saperi scientifici e umanistici non siano contrapposti o separati, ma che concorrano a formare l’uomo, al di là delle asfittiche barriere disciplinari. Tecnologia e scienza, arte e letteratura, sport e gioco, tempo libero ed etica, affetti e cura non stanno su piani diversi. Ogni uomo è ragione, emozioni, sanità fisica. Ma ogni uomo deve imparare anche a stare insieme con gli altri. La scuola non può trascurare nessuna delle tante dimensioni dell’uomo.
  • Per fare questo, ̶ interviene la signora ̶ occorrerebbe rivedere totalmente tempi, organizzazione, ma anche il concetto stesso di scuola. Una scuola che curi insieme la persona e il mondo sociale in cui vive. Che abbatta gli svantaggi, che ritrovi nuove ragioni per stare insieme. Sarebbe bello, ma è possibile?
  • Ecce homo,  ̶  dice la suora  ̶  l’uomo, ogni uomo è questo qui: è ognuno di noi. Siamo ragione e cuore, gioia e dolore, speranze e angosce, soggetti a scoperte entusiasmanti ed errori devastanti. Tutti. Non ci sono super uomini e sub uomini. Siamo tutti uguali. Da questo dobbiamo ripartire. Da una visione etica che riconsideri la natura dell’uomo e dalla visione allo specchio di noi stessi. Su questo dovrebbero rifondarsi e ripartire la società e la scuola. Dal nostro e dal volto di ciascuno ….

Il treno corre in una campagna bruciata e su fiumi in secca, sotto un cielo ridotto ad un azzurro pallido dal sole, che appare ormai come un’implacabile e immensa palla di fuoco.                          

                

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