Politica

La pace è uscita dall’angolo, ora diamole seguito

Marco Tarquinio, direttore di “Avvenire”, ha partecipato il 16 giugno scorso all’iniziativa promossa dal nostro giornale nell’anniversario della liberazione di Foligno. Siamo tornati ad intervistarlo in seguito alla grande manifestazione popolare per la pace e il disarmo del 5 novembre scorso, di cui diamo conto nel reportage fotografico di queste pagine.

#lapaceelaguerra
Intervista a Marco Tarquinio
In foto: Studenti in manifestazione per la pace e per il disarmo.


L’indomani del 5 novembre il suo editoriale su Avvenire parlava di “una data che resterà, una data da ricordare”. Non una manifestazione come tante, ma una sorta si spartiacque. A qualche giorno di distanza, e vista la disinvoltura con cui l’informazione mainstream ha deciso pressoché all’unanimità di ridimensionare e passare oltre, la pensa ancora così?

Certo che la penso ancora così. Il 5 novembre è riemersa una realtà di popolo negata. È un movimento “dal basso” – come piace dire anche a me – a cui danno consistenza reti associative e sindacali di diversa ispirazione ideale e religiosa che si è autoconvocato e ha deciso di manifestare e manifestarsi per parlare a tutti e a tutte in prima persona, ben consapevole ormai di non avere adeguata rappresentanza politica e neanche decente rappresentazione mediatica. A pensar bene, si fa per dire, questo è stato – e in parte ancora è – un errore politico e un “buco” informativo, che solo la redazione di Avvenire e pochissimi altri giornali e giornalisti hanno evitato e denunciato. A pensar male, si tratta del risultato di una vera e propria congiura del silenzio, della svalutazione e della caricatura. Congiura che non è affatto finita e che continua a tenere nel mirino il pacifismo e la cultura nonviolenta del nostro Paese. Un mondo articolato e complesso, niente affatto un monolite, che però alla fine ha saputo reagire insieme, uscendo dall’angolo con un messaggio che ha una cifra e una sostanza “fraterna” che, a mio parere, traduce in termini politici e sociali la parola profetica di papa Francesco sulla “amicizia sociale” e contro la logica, la pratiche e gli affari che chiamiamo guerra. È la dimostrazione che conta ciò che si pensa e si fa insieme, affrontando a viso aperto ciò che dicono o non dicono di noi altri, per quanto potenti e pre-potenti siano. Bisogna dar seguito a tutto questo.

Il suo editoriale si intitolava significativamente “La libera piazza e il re nudo”. Nudo perché ormai si producono,  si accumulano e si inviano armi senza nemmeno  più fingere che servano come deterrente, cioè a non fare la guerra. Ma, “come ai tempi delle grandi carneficine”, ci si prepara alla guerra “perché la vogliamo fare” e magari vincerla. Alla “nudità” del re lei contrappone “quelli che non si fanno tacitare e incantare”,  i “corpi di pace” che hanno sfilato per Roma. Un contrasto a prima vista senza sbocco, tanto più che (usiamo ancora le sue parole) “i signori della guerra e della pace tradita continuano a tradire”. Dietro le metafore (“il re nudo”, “I signori della guerra”) sembra di cogliere responsabilità piuttosto precise, “tra le guglie del Cremlino, ma non solo lì”.

L’attuale fase della guerra d’Ucraina  è prima di tutto responsabilità della Russia di Putin ed è una responsabilità così grave e grande che per tanti ne nasconde e persino ne elimina altre, che pure ci sono. Chi invade, bombarda, distrugge, uccide e deporta ha sempre torto, eppure questo scontro è anche frutto dei calcoli di un bel pezzo d’Occidente. Sono stati, e sono, soprattutto Usa e Gran Bretagna a dare ritmo all’ “abbaiare” della Nato ai confini russi. Ma non si possono nemmeno sottovalutare le responsabilità degli attuali dirigenti di Kiev, anche se dirlo significa finire sul banco degli imputati. Zelensky poteva fermare la corsa verso lo scontro, ma ha trovato accenti e intenzioni per farlo solo a invasione iniziata e ora che il suo Paese è armato sino ai denti le ha perdute di nuovo. E l’Europa continentale, l’Unione Europea, ha pensato soprattutto a fare affari che, tra sanzioni economiche e co-belligeranze di fatto continuano persino in questi mesi, ma non ha pensato e costruito una nuova architettura della convivenza nella sicurezza reciproca e cooperante tra Est e Ovest. Pechino, infine, lascia fare. Raccoglie, come tutti, i frutti amari della destabilizzazione, ma poiché punta a un diverso ordine del mondo in competizione con Washington vede anche gli sviluppi di un indebolimento contemporaneo di Russia e Ue a causa di questo disastroso conflitto. Dovremmo essere consapevoli che ciò che sta maturando è più che allarmante: il campo di battaglia ucraino,aperto a tutto, anche al folle uso di armi nucleari, è anche la prova generale di una nuova, vagheggiata e incombente “guerra dei mondi”, Occidente contro Oriente. E noi occidentali dovremmo aver chiaro che negli ultimi trent’anni l’umanità non ha avuto da noi grandi ragioni per stare dalla nostra parte, non ci siamo fatti riconoscere come la parte della giustizia, dell’eguaglianza, della solidarietà, della pace… E stendo un velo pietoso sulle operazioni di esportazione la democrazia sulla punta di baionette e missili. Per questo c’è più bisogno che mai di “corpi di pace”, persone in carne e ossa che ingaggino una tenace resistenza contro una deriva bellica che sembra il ritorno della politica, ma rischia di segnare la sua impotente sottomissione ad altri poteri e altre logiche.

Marco Tarquinio

Già, ci sono le inadempienze, o quanto meno le difficoltà, della “buona politica”. Il popolo di Piazza san Giovanni, pur così multicolore e variegato, anche per età, è senz’altro una gigantesca e preziosa risorsa della democrazia, ma – così scrive lei – “non si ha la lucidità e il senso civico di organizzare” questo immenso patrimonio di umanità e dare forma a un progetto politico  che annunci e promuova “la fine della tempesta”. Qualcuno vorrebbe ma non ce la fa, qualcun altro non vuole proprio. Come si esce da questo vicolo cieco della democrazia ? Che svolta occorre, e chi la dovrebbe fare ? Serve uno scatto, un ripensamento dei soggetti politici già in campo oppure una sorta di  nuovo inizio,una nuova forma della rappresentanza, a partire dai mondi che il 5 novembre hanno cominciato a parlarsi?

Stanno accadendo cose, anche in partiti e movimenti. Non solo a sinistra, ma soprattutto a sinistra e centrosinistra dove si oggi collocano tutte le forze politiche che hanno aderito alla manifestazione del 5 novembre, e anche nella composita e assai insoddisfatta galassia delle realtà cattoliche. Penso che le prossime settimane faranno capire se c’è spazio per una convincente ripresa “dall’alto” dell’iniziativa e del rapporto con il popolo della pace  o se diverrà evidente, invece, che la speranza va riposta nel movimento “dal basso” e a guida plurale che s’è iniziato e che è l’unico fatto politico nuovo di questo duro tempo italiano.

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