
#scuola #ascuoladilingue
Di Sabina Antonelli
In foto: L’Alfabetiere di Fabrizio Silei
A scuola si va per imparare. ANCHE per imparare. Perché i passi che questa fondamentale istituzione pubblica ha fatto da molti anni a questa parte, hanno dimostrato come essa non sia solo preposta a trasmettere nozioni e informazioni ma sia piuttosto il luogo privilegiato in cui infanzia e adolescenza debbano trovare modo di conoscersi, guardandosi dentro e scoprendo le proprie potenzialità, di esprimersi anche in svariati contesti e con modalità di volta in volta diverse, di entrare in relazione non solo con i propri amici, famiglia, insegnanti, ma anche con tutta la realtà che li circonda, diventando cittadini del mondo.
A scuola occorre camminare insieme senza lasciare indietro nessuno, occorre fermarsi, riflettere, riprendere il cammino. Bisogna co-progettare percorsi che stimolino la curiosità, sostengano la motivazione a ri-cercare, scegliere, porre domande, trovare soluzioni. La scuola deve aprirsi al territorio e al mondo, in uno scambio tra dentro e fuori che diventa fermento, lievito, collante, ordito dove tessere il filo della propria vita insieme a quello degli altri.
L’ A B C che si “insegna” oggi a scuola non è più solo quello degli abbecedari di una volta. È l’A B C della vita. Eppure quei libretti, oggi, acquistano un grande valore perché ci permettono di fare confronti, comprendere il cammino già fatto, valutare i nostri passi ed anche perché è proprio partendo dal piccolo che si arriva al grande. Una goccia fa il mare, un mattone dopo l’altro fa crescere un grattacielo, tanti fili d’erba fanno un prato.
Quindi partiamo dall’abbecedario.
L’abbecedario, conosciuto anche come sillabario, è quel libretto che si usava una volta per imparare a leggere.Il vocabolo deriva da “abecedarium”, termine del tardo latino, nato dal nome delle prime quattro lettere dell’alfabeto. È affascinante studiare l’origine di questo strumento che per anni è stato utilizzato nelle nostre scuole.
L’invenzione dell’alfabeto fonico risale ai Fenici. Ma prima di allora quali segni grafici utilizzavano gli uomini per comunicare? È probabile, ma chiaramente non certo, che la forma più semplice sia stata l’uso di materiali naturali: legnetti, rami, fiori, frutta, mucchietti di sassolini, di sabbia o altro che magari i nostri avi utilizzavano per indicare un luogo, per segnare un percorso e così via… La prima forma di scrittura, in cui il segno grafico rappresenta l’oggetto visto e non il suono usato per identificarlo, è la pittografia, si passa poi alla scrittura geroglifica dell’antico Egitto e a quella cuneiforme dell’Asia Minore. Infine arriva l’alfabeto.

Il metodo alfabetico è stato utilizzato per secoli. Quelli che come me hanno una certa età, lo hanno usato per imparare a leggere e a scrivere. A, Bi, Ci, Di, E, Effe, Gi… Le lettere ci sono state insegnate con il loro nome, non per il loro suono. Così le abbiamo imparate e pronunciate. Nel Medioevo l’alfabeto si presentava su tavole di legno con un foglio di pergamena o carta fermata da una sottile cornice di corno (la maggior parte di bue). Sul foglio erano riportate le lettere dell’alfabeto (in un primo tempo disposte a forma di croce latina, con la A in alto e la Z in basso), le vocali, la combinazione di vocali e consonanti, i numeri romani all’1 al 9, la benedizione e la preghiera al Signore. Quando, in seguito, le lettere furono trascritte una accanto all’altra su poche righe, l’alfabeto veniva introdotto da una croce per ricordare che “Il timore verso il Signore è l’inizio della saggezza”. Queste tavole sono le antenate degli abbecedari, strumenti che avevano il compito di facilitare l’apprendimento.
Gli abbecedari, prima del ‘500, non avevano disegni ma proponevano le lettere dell’alfabeto scritte in maiuscolo e minuscolo, anche in vari caratteri. È solo nel 1527 con Valentin Ickelsamer, predicatore luterano, grammatico e maestro di origini bavaresi, che si inizia a parlare di suono e non di nome. Nasce il metodo fonico ed è proprio il suo inventore a chiedere che gli abbecedari vengano muniti di illustrazioni. A seguire furono fatti diversi tentativi ma occorre arrivare a Comenio nel 1658 e alla pubblicazione del suo “Orbis pictus”, pubblicato in Italia nel 1666, per avere il “primo sussidiario illustrato”, rivolto specificatamente all’infanzia verso la quale, fino a quel momento, non c’era stato alcun interessamento da parte della letteratura.

Quello di Comenio è un vero e proprio progetto editoriale e didattico che però naufraga presto per l’impossibilità di utilizzare tecniche di stampa all’epoca poco diffuse. Rimane così inattuato il tentativo di ancorare l’apprendimento al concreto, attraverso l’uso dei sensi. Solo alla fine del 700 gli abbecedari e i sillabari si imposero come vero e proprio strumento didattico per i bambini. Le immagini erano semplici e allineate in ordine alfabetico per iniziale. Le lettere erano scritte con i diversi caratteri e poste ai margini, esterne ad ogni figura.
Nel tempo si sviluppa però un vero e proprio “genere editoriale” che arricchisce lo strumento e lo rende più fruibile dall’infanzia. La sequenza delle lettere inizia a scandire il ritmo delle pagine animando giochi di figure, brevi filastrocche, immagini legate tra loro da un tema conduttore. Gli abbecedari riescono a catturare l’interesse e il piacere del bambino mostrando un mondo di figure spesso fantasioso, decorativo, ludico con implicazioni narrative e affettive.
Alla fine dell’800 ne nascono numerosi con una gamma infinita di variazioni. Si va da quello per le buone maniere “Alphabet des bons exemples (A come Amabilité, B come Bon Coeur, C come Charité ecc.) a quello dei giochi “Alphabet illustré des jeux de l’enfance” (C come Colin-Maillard (mosca cieca), O come Oie (il gioco dell’oca). Si passa dall’abbecedario degli animali a quello in cui le lettere stesse si trasformano nell’oggetto scelto, la lettera P diventa per esempio una pipa e la lettera N dà vita ad un nano che ha per gambe proprio la lettera corrispondente.
Diventano anche molto più complessi ed incisivi. Le lettere sono interne all’immagine e la dominano diventando oggetti scenografici. Vengono illustrate più immagini per la stessa lettera come ad esempio nel “Grand Alphabet instructif et amusant” in cui la C indica il cane (chien), il gatto (chat) e il quadro (cadre).

Con il passare degli anni il classico abbecedario diventa quasi un gioco d’artista. Gillo Dorfles (Angelo Eugenio), artista, pittore, filosofo e critico d’arte, agli inizi degli anni cinquanta disegna su carta velina, solitamente usata come carta per fare le copie a carbone, un abbecedario per i propri nipoti. Q come Quadro ma U come Ugola, R come Rodomonte, M come Macaco… Insomma un sillabario molto particolare, divertente, realizzato con la collaborazione della stessa nipotina a cui era destinato. Lui inventa i personaggi e i disegni, lei scrive la parola. È quasi una sfida, condotta con ironia, basata sullo stupore, sulla curiosità dei bambini di scoprire nuovi termini e ampliare il proprio vocabolario.
Negli stessi anni anche il grande Bruno Munari costruisce il suo “alfabetiere”. Quale sia la differenza con l’abbecedario ce la spiega lui stesso nella prefazione del libro, edito ora da Corradini e pubblicato per la prima volta nel 1960. Inizia infatti con un breve messaggio dedicato ai genitori che sosterranno i piccoli nell’uso dello strumento: “Cari genitori, questo libro prescolastico è intitolato alfabetiere e non abecedario perché le lettere che contiene non sono disposte secondo il metodo tradizionale: a, b, c, … ma secondo le difficoltà che presentano per essere imparate dal bambino.”
L’alfabetiere di Munari è uno strumento che dà vita ad un gioco creativo, che i bambini e le bambine costruiscono personalmente. Così, per apprendere le forme, si ritagliano lettere da giornali od altre riviste e si incollano sulle pagine del libro e per capire e memorizzare i suoni ci sono filastrocche dove sono presenti diverse parole, che tra loro non significano niente ma mostrano ai bambini la ripetizione dei suoni. Il metodo usato è un metodo attivo che supera la tradizione e offre la possibilità di conoscere l’alfabeto attraverso un percorso che suscita emozioni e sostiene la creatività.
Anche Fabrizio Silei, scrittore, artista, grafico, designer, due volte vincitore del Premio Andersen, ha pubblicato un suo “Alfabetiere” che insegna ai bambini a leggere e a scrivere tutte le lettere dell’alfabeto dopo aver osservato la loro forma esatta, impegnandoli in una speciale di “caccia al tesoro”: ritrovare tutte le lettere nascoste all’interno dei corpi di buffi animali disegnati magistralmente dall’autore.
E allora, dopo tutto questo raccontare di lettere e alfabeti, non vi viene voglia di scoprire quale siano gli alfabeti di bambine/i e ragazze/i che frequentano le nostre scuole? Magari un alfabeto di Natale, che valga però tutto l’anno, perché le feste in arrivo possano ritrovare briciole di senso, scintille di speranza, in questo momento storico, sociale, culturale così difficile e complesso.
L’appuntamento è dunque per il mese prossimo, per il numero di dicembre 2022 ma se qualcuno vuole giocare con noi ed inviarci il proprio ALFABETO di NATALE saremo felici di pubblicarlo. Vi aspettiamo.