Alcune riflessioni di Vincenzo Falasca in vista del Consiglio Comunale aperto sulla Sanità del 6 marzo 2023.

#politica #sanità
Di Vincenzo Falasca
Basta scorrere i quotidiani regionali per comprendere come la situazione sanità sia definitivamente sfuggita di mano alla Presidente Tesei ed al suo inamovibile assessore veneto Coletto. Non c’è giorno che non vi siano segnalazioni di malfunzionamenti, proteste, prese di posizione che descrivono lo stato allarmante dei servizi sanitari della nostra regione.
Ciò che colpisce di più è che oramai tali considerazioni siano diffuse tra le forze politiche di opposizione ma anche tra gli elettori della stessa Tesei, tra gli operatori sanitari e tra gli utenti, tra le associazioni sindacali e dei cittadini, tra gli operatori del pubblico e quelli del privato. Anche il Corriere dell’Umbria, fino a poco tempo fa di proprietà del Gruppo Angelucci, grande sponsor della Tesei (anche per la convergenza di interessi per le proprie cliniche private rispetto al programma elettorale del centrodestra) ed oggi di proprietà di Federico Polidori, mister CEPU, cugino della parlamentare di Forza Italia Catia Polidori e generoso finanziatore della campagna elettorale della Lega, sembra aver cambiato linea, dando uno spazio sempre più rilevante, alla crisi dei servizi sanitari umbri.
D’altronde come sarebbe possibile continuare a negare una situazione fuori controllo? Basti pensare al disavanzo di oltre 250 milioni di euro accumulato in pochissimi anni quando, per via del Covid, arrivavano risorse economiche ingenti e contemporaneamente si fermavano tutti i servizi, si sospendevano le manutenzioni, si bloccavano gli investimenti.

In foto: La Presidente della Giunta Regionale Donatella Tesei ed il Ministro Matteo Salvini.
La Tesei ha provato, anche in questo caso, a dare la colpa a quelli prima di lei e addirittura si è appellata ad un falso mito positivo della sanità Umbra, dimenticando che eravamo regione “benchmark”, cioè parametro di riferimento per l’intero sistema nazionale, risultato ottenuto con draconiana lotta agli sprechi e talvolta anche con amputazioni di servizi e sostegni assistenziali. Anche noi più critici verso una gestione esclusivamente manageriale e efficientistica, non potremmo non rilevare che ciò sia avvenuto a favore dell’equilibrio contabile.
Lo stesso approccio vale per l’annoso problema delle liste di attesa: chiunque, alle prese con i CUP, anche in passato si sarà sentito prospettare tempistiche e soluzioni inadeguate, ma oggi sembra, per assurdo, una situazione da rimpiangere rispetto a prenotazioni bloccate del tutto o addirittura nemmeno aperte (cioè non prenotabili), viaggi della speranza per prestazioni minime o porte sbattute in faccia anche per richieste drammaticamente urgenti.
Ma lo schema è semplice e vale per molti settori pubblici: per privatizzare basta non far funzionare. Prima di morire o di veder soffrire un tuo caro dovrai “cedere” alla affascinante offerta dell’intramoenia o ancor più del privato, che in due giorni ti offre quello che attenderesti anni o ti accoglie a braccia aperte sul pianerottolo di casa senza dover affrontare lunghi e costosi viaggi: tanto vale pagare per spendere meno in spostamenti e giorni di lavoro saltati.
Ma non tutte e tutti hanno questa opportunità, perché magari hai una fibromialgia gravemente invalidante ma che non riceve supporto dal SSN oppure la tua sclerosi o il tuo tumore non ti mettono nella giusta propensione di lottare (alla faccia dell’eroismo verso la malattia sbandierato come modello), oppure non te la senti di prendere il tuo campioncino prelevato in ospedale con agoaspirato durante una mammografia e portartelo da sola in un centro analisi, perché il servizio non è più garantito e magari hai paura di danneggiarlo o sbagliare qualcosa. Non parliamo della prevenzione, della diagnostica precoce e dei controlli periodici: anni di campagne di sensibilizzazione e di vite salvate, buttati al vento.
E l’elenco potrebbe essere lungo quante sono le sofferenze che il benchmark e le inefficienze non possono alleviare.

In foto: L‘Assessore Regionale alla Santità, Luca Coletto.
Questo mentre, tra i sacrifici degli operatori sanitari, si cambiano frequentemente i dirigenti a scapito di ogni forma di pianificazione con dirette conseguenze anche sulla spesa farmaceutica oramai fuori controllo; le tanto sbandierate assunzioni sono solo un lontano ricordo propagandistico dando sempre più spazio al costoso ricorso a professionisti esterni che, come dichiarato dal Consigliere Tommaso Bori durante la Commissione regionale di fine gennaio, arrivano a percepire, a forza di gettoni, oltre 25mila € al mese.
E così, nonostante la contrazione di investimenti e prestazioni, aumenta con sempre più rapida progressione la spesa per beni e servizi (+ 45,8 milioni) e di quello per la spesa del personale (+ 18,4 milioni).
Conseguenza diretta di tutto ciò è anche l’aumento della mobilità passiva, dopo anni in cui erano i nostri ospedali ad accogliere utenti di fuori regione: l’Umbria nel decennio 2012-2021 è passata da una forte attratività in entrata a una drammatica passività, passando dagli oltre 20 milioni di guadagni per mobilità sanitaria del bienno 2017-2018 agli oltre 9 milioni di perdite di quello 2020-2021. Contemporaneamente scappa anche il personale dalla sanità pubblica umbra verso un privato che viene visto come più rassicurante e più sicuro, ma anche verso altre Regioni che sono state in grado di rendersi più remunerative e gratificanti.
Completa il quadro un Piano sanitario regionale calato dall’alto che ha preoccupato “territori” ed operatori con sbandierate razionalizzazioni che consistono esclusivamente in tagli, accorpamenti e trasferimenti di servizi e personale. Parallelamente, a livello nazionale, il Governo Meloni viaggia nella stessa direzione, riportando la spesa sanitaria pubblica ai livelli pre-pandemia, alla faccia degli investimenti sulla sanità di prossimità, con percentuali di finanziamento al di sotto di quanto stanziato negli scorsi due decenni.
Tremano le vene ai polsi, pensando a cosa potrebbe succedere con le riforme legate all’autonomia differenziata che renderebbe ancora più fragile la nostra economia regionale, la nostra capacità di contrattazione e ancora più ridotti gli stanziamenti nazionali.
L’Articolo 340 Codice Penale si occupa dell’interruzione o turbativa di servizio pubblico o di pubblica necessità, prevedendo pene pesantissime proprio perché rilevanti sono le conseguenze sulla vita delle persone: cos’altro deve accadere perché si chieda il conto di queste scellerate politiche regionali alla Presidente Tesei e alla sua Giunta? In altri casi si direbbe “si aspetta il morto?”: beh, faccio grevemente notare che in questo caso, trattandosi di cure e di persone malate, i morti già ci sono.