Storia e Memoria

La memoria deforme dell’estrema destra italiana. L’esempio di Foligno

di Alessandro Sorrentino

In un volume datato 2005 lo storico Francesco Germinario (Da Salò al governo. Immaginario e cultura politica della destra italiana, Bollati Boringhieri, Torino 2005) osservava come l’estrema destra italiana si fosse mantenuta sempre «estranea alla cultura della nazione». Le cause di questo rifiuto sono insite, chiaramente, nell’antifascismo proprio della nostra cultura, della nostra memoria, storica e civile. Ma l’estraneità affonda anche in altre ragioni, molto importanti e tutte analizzate con attenzione dallo storico, che riguardano l’essenza dell’estrema destra neofascista, e ora postfascista, italiana.

Su tutte la più centrale di queste ragioni è senza dubbio la mancata storicizzazione del fascismo da parte di questa famiglia politica. Il ventennio mussoliniano non è mai stato davvero condannato dall’estrema destra italiana, o meglio, si è preso davvero le distanze in un solo aspetto, quello concernente le leggi razziali. Quelle sono condannate alla (quasi) unanimità, con grande trasporto, se non fosse che troppo spesso si tende a deresponsabilizzare e a non tener conto dell’autonomia dell’Italia, di Mussolini e del Regime (rigorosamente in quest’ordine) in quella scelta. Su tutto il resto nell’estrema destra italiana sull’esperienza del regime fascista sembra essere ancora valido il motto che fu del neonato Movimento sociale italiano: «né rinnegare, né restaurare».

Giusto per chiarire, per estrema destra italiana si intendono il Msi e tutti i frutti del suo seme ovvero Alleanza Nazionale prima e Fratelli d’Italia poi, due forze politiche che nascono da quella storia e che rivendicano quella storia, prova ne è la fiamma tricolore ben presente nel simbolo di entrambi i partiti.

Poi gli anni ’90, il periodo di «massimo vacillamento del paradigma antifascista» (prima di quello che stiamo vivendo), poi il governo (o meglio, i governi) Berlusconi e poi di mezzo quasi trent’anni, la globalizzazione, la post-verità, la società liquida e una pandemia e oggi, nel 2023, il partito “nipote” del Msi è la prima forza politica del paese, trainante nel governo, e esprime la prima Presidente del consiglio donna italiana.

Sono passati diciotto anni dal volume di Germinario, eppure l’estrema destra postfascista italiana è ferma lì, estranea alla cultura della nazione, contraria e lontanissima dall’accettare il paradigma antifascista e assolutamente convinta di aver storicizzato ormai da un pezzo il fascismo pur sapendo (e bene) di non averlo fatto. 
È così che la premier Meloni celebra il 9 novembre (anniversario della caduta del Muro di Berlino) come fosse una festa nazionale, come se il muro fosse a Roma e non a Berlino, è così che dimentica di specificare che le vittime della strage delle fosse Ardeatine non erano semplicemente italiani ma erano antifascisti, oppositori politici ed ebrei italiani. Ci sarebbe poi da elencare tutte le dichiarazioni infelici, fuori luogo e vergognose di Ignazio La Russa, seconda carica dello Stato, ma non ne abbiamo il tempo e lo spazio.

Tutto questo è il frutto di una volontà politica precisa, presente nell’immaginario della destra italiana postfascista da sempre, da quando è nata e che oggi finalmente trova completa applicazione, agevolata prima dal ventennio berlusconiano che a questi soggetti politici postfascisti ha aperto le porte delle istituzioni e poi dal governo Meloni, il più a destra della storia del nostro paese. Il disegno politico è molto chiaro, ed è un progetto complessivamente “revisionista”, nel senso che ha come scopo quello di proporre e di imporre una memoria alternativa a quella civile del nostro paese, secondo la destra frutto di una narrazione politica parziale perché antifascista. Questa memoria alternativa considera, ad esempio, il 25 Aprile una festa divisiva, l’Anpi un’associazione che non ha più senso di esistere e vede in “Bella ciao” non un canto di lotta e libertà ma una canzone “comunista”. Questi sono gli esempi più lampanti dei campi d’applicazione di questa memoria deforme. Purtroppo, questo tipo di contronarrazione trova sempre più proseliti man mano che si va avanti e non è una esclusiva dei partiti che provengono da quello che potremmo definire “ceppo neofascista”, perché il rifiuto del paradigma antifascista è un morbo diffuso trasversalmente nella destra italiana, anche quella liberale e moderata e anche, e soprattutto, nella Lega che tra le sue fila raccoglie molte persone che combattono il paradigma antifascista e che si fanno fautrici della narrazione alternativa postfascista.

A pensarci bene proprio Foligno, la nostra città, guidata da una giunta comunale a trazione leghista, è stata in questi quasi un “laboratorio politico” della destra per mettere in atto questo progetto politico e applicare il filtro dell’”altra memoria”. Vediamo in che modo.

Partiamo relativamente da lontano, dalla sera della vittoria delle elezioni. A verdetto appena emesso, con la bandiera tricolore sventolata dal palco di Piazza della Repubblica, il Sindaco Stefano Zuccarini proclamò la liberazione della città di Foligno dal centrosinistra, fregandosene totalmente del rispetto che questa parola esige per la storia e per la memoria del nostro paese. 
Pochi mesi dopo arriviamo alla celebrazione del 16 giugno 1944, prima occasione civile che la nuova giunta ha dovuto (aggiungerei suo malgrado) officiare. Il quadro che si presentò agli occhi della cittadinanza in quella domenica mattina della fine della primavera 2019 fu il seguente: l’Anpi assente, perché non invitata, così come non lo sarà negli anni a venire (neanche per il 25 aprile), e il primo cittadino che non pronuncia neanche una sola volta la parola nazifascismo, al punto che alla fine della celebrazione un uditore poco attento non avrebbe capito esattamente da cosa e, soprattutto, da chi Foligno fosse stata liberata. Facciamo un passo avanti di meno di due mesi e arriviamo alla clamorosa assenza dell’Amministrazione comunale folignate e del Sindaco alla commemorazione del settantacinquesimo anniversario dell’eccidio di Sant’Anna di Stazzema, durante il quale venne trucidata, tra gli altri, la famiglia Tucci, originaria di Foligno. Zuccarini ammise, in quell’occasione, che si trattò di una dimenticanza, una dimenticanza poco perdonabile, per la verità, specie se si pensa che tre mesi dopo fu invece solertissimo nel “celebrare” (pare assurdo scrivere così) e ricordare la battaglia di El-Alamein.

Altro tassello da aggiungere è il grande cordoglio, il trasporto e l’emozione che il primo cittadino ha sempre mostrato durante tutte le commemorazioni del Giorno del Ricordo un’occasione civile che ha molto a che fare con la costruzione dell’”altra memoria” da parte della destra italiana. Proprio all’indomani del 10 febbraio 2020 il primo cittadino si scagliò in un virulento attacco contro l’Anpi, criticandola per la sua assenza alle celebrazioni, con un post su Facebook dal sapore di ripicca e vendetta. Legata alla questione delle foibe e del confine istriano-dalmata è l’intitolazione di una targa, posta agli Orti Orfini, a Norma Cossetto, dedica verso la quale Sedicigiugno non ha nulla in contrario (alla questione il nostro mensile ha dedicato anche un articolo, firmato dalla nostra direttrice) ma non si può fare a meno di notare, ancora una volta, la prontezza del primo cittadino nel compiere questo atto, presentato quasi come doveroso, al punto che pare legittimo chiedersi quanto di strumentale ci sia stato nello stesso.

È passato quasi sottotraccia, invece il patrocinio concesso dal Comune di Foligno il 6 novembre 2021 ad una conferenza di Marcello Veneziani (pensatore e giornalista di area di destra), tenutasi alla Sala rossa di Palazzo Trinci, su “Dante e l’amor patrio”, che si inseriva in una rassegna di appuntamenti intitolata Orientamenti, in chiaro richiamo all’opera di Julius Evola, ideologo e punto di riferimento assoluto della destra radicale ed eversiva italiana.

Infine, risale allo scorso ottobre l’intitolazione di un’area verde a Gaetano Pinna, reduce della folgore deceduto durante la battaglia di El Alamein. Tale area verde è situata in via Francesco Innamorati, partigiano comunista folignate che morì investito da un camion tedesco nel gennaio del 1944. Quest’ultimo atto è emblematico del progetto politico che questo articolo ha tentato di spiegare: nella stessa area in cui si ricorda un eroe della Resistenza e della lotta di liberazione dal nazifascismo, l’Amministrazione Zuccarini sceglie di apporre una targa e un piccolo monumento in memoria di un militare, vittima innocente della guerra e che è morto, però, per combattere in nome di ideali contrari a quelli della libertà e della democrazia, perché faceva parte dello schieramento che possiamo impropriamente definire “totalitarista”. Ma il soldato, il milite, disposto a tutto, anche al sacrifico di sé, per la Patria, quello è l’eroe della destra, da contrapporre al partigiano, quello è l’unico patriota.

Tutto questo accade sotto ai nostri occhi, con atti che possono sapere di sola retorica ma che nascondono, in realtà, un disegno ben più complesso. Di fronte a tutto questo è necessario che si ripensi al senso che si è dato, durante tutto questo tempo, al concetto di antifascismo. L’antifascismo deve farsi “vigile”, ma allo stesso tempo, deve rinnovare il suo paradigma, uscire dagli schemi che lo hanno “imprigionato” durante i primi decenni della nostra repubblica e diventare finalmente strumento di condivisione e, allo stesso tempo, di lotta e di difesa di valori imprescindibili e non negoziabili, come la libertà di essere se stessi, come la lotta contro ogni discriminazione e come il rispetto della memoria e della storia del nostro paese.

Non è una battaglia anacronistica, è una battaglia quanto mai attuale, perché il filtro dell’”altra memoria” è essenziale per l’estrema destra, perché rende legittime molte cose prima ritenute inaccettabili e che trovano applicazioni in altri campi, specie in quello delle libertà civili e individuali, ma non solo. Perché in questo paese si sia così sensibili ai richiami di questa narrazione alternativa è qualcosa di estremamente complicato e meriterebbe davvero un approfondimento storico e sociale che il sottoscritto non è al momento in grado di fare, se non per sommi capi.

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