Di Federico Adriani
I cambiamenti generalmente non piacciono, creano dissenso poiché vengono messe in discussione abitudini, consuetudini e routine. Quando poi il cambiamento arriva da un potere costituito, da un’amministrazione in questo caso, le discussioni diventano ancora più accese. A queste modalità ci siamo abituati e in qualche misura ne siamo artefici ogni giorno, ma sappiamo che una strada coraggiosa per pensare e progettare oggi le città e il vivere quotidiano delle cittadine e dei cittadini sarebbe quella di rendere inclusivi, attraverso la partecipazione, l’atto e il percorso del progettare. Invece a Foligno il grande assente in quasi tutti i percorsi di rigenerazione urbana intrapresi e conclusi è stato il processo partecipativo.
Ma cosa è un processo partecipativo? È lo strumento con cui dare modo di esprimersi ad ogni diverso punto di vista, cercando di soddisfare gli interessi più importanti di tutte le parti coinvolte nel processo decisionale stesso, elaborando soluzioni che siano in grado di risolvere problemi complessi, come lo sono la trasformazione della città e dei territori; un approccio progressivo e plurale che esca dal bivio di chi ha torto e chi ha ragione, praticando la pluralità e l’ascolto, con spazi per trovare la soluzione e dando al processo decisionale tempo, regole e garanti per arrivarci.
L’odierna situazione urbana della nostra città ci mostra esempi e situazioni di intervento urbano in qualche misura sprecate, sfortunatamente ho alcuni esempi da portare all’attenzione: innanzi tutto l’intervento di rigenerazione della stazione degli autobus presso il Plateatico, un hub di interscambio su gomma che non ha davvero analizzato i bisogni degli utenti che abitualmente la utilizzano. La stazione si presenta sprovvista di sedute per l’attesa e di pensiline per proteggere dalle intemperie chi attende i mezzi pubblici.

Un progetto così realizzato, regala a giovani studenti che l’utilizzano quotidianamente un luogo vuoto, senza una visione progettuale e funzionale, il che lo rende ancora più inospitale e aspro: attendere un autobus esposti alle intemperie del sole o della pioggia può generare solo rabbia. James Hillman, in Politica della Bellezza (2005), individua le motivazioni della crisi e dell’abbandono dell’amore per il mondo nella repressione della bellezza e della capacità di percepirla, ci ricorda che “l’anima che viene trascurata – sia nella vita personale che in quella comunitaria – si trasforma in un bambino rabbioso. Aggredisce la città che l’ha depersonalizzata con una rabbia depersonalizzata, una violenza contro quegli stessi oggetti – le facciate dei negozi, i monumenti nei parchi, gli edifici pubblici – che rappresentano l’uniforme assenza di anima.”
Gli spazi pubblici e comunitari delle nostre città dovrebbero auspicare e tendere alla bellezza, la negazione di quest’ultima genera solitamente risentimento collettivo.
Un’amministrazione attenta a generare luoghi inclusivi, belli, accessibili e rigenerati come si muove? Pensa e progetta spazi di aggregazione, creando ambienti inclusivi in cui la bellezza stessa generi città gentili e non solamente città difensive dotate di impianti di video-sorveglianza. Quello che è tremendamente assente a Foligno, già da diversi anni, è una visione, anzi sono molteplici visioni di trasformazione urbana con obiettivi chiari e funzionali.
Oggi le tematiche di rigenerazione urbana, transizione ecologica, processo partecipativo, piani di mobilità sostenibile, città sensibili, sono diventati lessico comune ma in qualche maniera è come se non si fossero mai commutati in presente e soprattutto in concreta progettazione e realizzazione. La terza città dell’Umbria continua a soffrire di una mancanza di obiettivi e di una vera e propria progettazione nuova, che sappia dialogare con le istanze contemporanee più urgenti di mobilità sostenibili e incremento costante delle aree verdi. Fatico a comprendere cosa possa intendere oggi un’amministrazione intelligente quando parla di “delocalizzazione del verde” promettendo di piantumare alberi in una zona altra della città (in questo caso, il quartiere di S. Paolo) a compensazione di quelli abbattuti in Piazza Ercole Giacomini, dopo l’attuale progetto di rigenerazione. E d’altra parte per correttezza va detto che già la precedente amministrazione attuò un processo di delocalizzazione del verde con l’intervento di modifica di Piazza S. Domenico, spostando le palme decennali nella zona cimiteriale della città.

Di nuovo il grande assente, ieri e oggi, è l’ interpretazione del concetto di piazza come luogo di incontri, mercati, giochi e scambi; una stanza urbana di relazioni e non uno spazio di vuoto pneumatico, immutabile nel tempo. Una piazza non è un luogo fine a se stesso, ma uno spazio in dialogo con gli altri poli di attrazione, come le chiese, i negozi, le abitazioni, i parchi, gli ospedali, e tutti i portatori di interessi, le cittadine e i cittadini.
Dovrei concludere con una breve considerazione sull’attuale risultato di Piazza Ercole Giacomini, purtroppo fatico a trovare le parole; quelle che emergono sono rotte, riluttanti e arenate perché è evidente che le piazze di Foligno sono piazze soffocate, a cui è stata tolta la funziona sociale con cui il pensiero urbanistico ha costruito le città sin dall’antichità. Oggi, ancora di più, abbiamo necessità di una visione.
Abbiamo necessità di liberare il centro storico dalle auto.
Abbiamo necessità di una città accogliente e gentile.
Abbiamo necessità di piazze che generino relazioni sociali.
Abbiamo necessità di reinventare luoghi e azioni capaci di coniugare etica e ambiente, partecipazione e democrazia; solo così le città potranno tornare a essere momento collettivo che riporti al centro del discorso un noi corale. Un’assunzione di responsabilità che coinvolge tutte e tutti.
E’ necessario partire.
Ora.