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Il territorio e i suoi architetti

Di Luciano Beddini

Nel numero di marzo, dando notizia della presentazione pubblica del volume su Franco Antonelli, preannunciammo per il numero di aprile un intervento dell’architetto Luciano Beddini. Eccolo di seguito.

Nel Paese in cui fioriscono le “archistar” trovano posto in vetrina maestri sempre più prossimi alle logiche di mercato e della moda, sapientemente spinti e sostenuti da brillanti operazioni di promozione mediatica, ma a volte promulgatori di forme iconiche che si limitano alla stravaganza.

Non è così il caso di Franco Antonelli, non una archistar ma un solido architetto radicato nel suo territorio e nel suo tempo, la cui produzione architettonica ha saputo caratterizzarsi con interventi coerenti con la propria formazione culturale e ben collocati in quei filoni dell’architettura che rimandano al movimento moderno, al razionalismo, ma anche ad una sorta di manierismo contemporaneo contaminato dal brutalismo (il béton brut) che reinventa forme plastiche con la rudezza del calcestruzzo a vista.

L’occasione della presentazione del volume monografico sulla figura di Antonelli e sulle sue opere è stata proficua sotto due profili: per aver tributato un giusto e dovuto riconoscimento all’architetto e per aver stimolato qualche riflessione in più sulla questione dell’architettura contemporanea e sul comune approccio con cui ci rapportiamo con essa laddove spesso non la conosciamo o non la distinguiamo dal più generale contesto edilizio.

Franco Antonelli

E’ convinzione diffusa che se non vi è sufficiente distanza storica che ci permetta di stabilire oggettivamente le qualità di un’opera si incorre in facili errori di valutazione e non vi è dubbio che l’estetica architettonica sia di difficile lettura e che si corra il rischio di apprezzare elementi “alla moda” e come tali effimeri. Però credo che sia altrettanto vero che questo postulato si presti purtroppo ad influenzare la percezione collettiva perché offre una automatica connotazione negativa ad ogni proposito di classificazione; il Codice dei Beni Culturali fissa l’elemento temporale in settanta annicome una distanza sufficiente per valutare il valore di un’opera in modo ragionevolmente obiettivo ma gli Enti di tutela possono prescindere dall’età anagrafica se l’interesse dell’opera, al di là del suo carattere intrinseco, ha un valoreanche puramente relazionale legato ad un più ampio contesto.

Questa ultima considerazione facilita il riconoscimento anche di singole opere e se messa in relazione alla produzione di Franco Antonelli, ci induce a sostenere che occorra incominciare in modo più sistematico a censire e classificare le architetture contemporanee, anche quelle più recenti, promuovendo strumenti normativi delle Istituzioni e strumenti conoscitivi della collettività che producano consapevolezza pubblica del patrimonio architettonico nei contesti urbani.

L’occasione della presentazione del volume in questione, molto partecipata anche da addetti ai lavori, mi pare abbia anche saputo stimolare nei presenti una rinnovata curiosità nell’osservazione della città e dei luoghi antropizzati troppo spesso sconosciuti attesa la ormai scarsa inclinazione all’osservazione critica purtroppo sostituita da un abitudinario e superficiale vedere.

Il Libro è edito da Electa-Mondadori e il prestigio dell’editore è già testimonianza di un interesse per la figura di Franco Antonelli che supera abbondantemente la dimensione territoriale locale; un elegante formato fa da contenitore per interessanti interventi di Autori vari che tratteggiano la figura dell’Architetto e fanno un’accurata rassegna tematica dei progetti architettonici e urbanistici in cui si è cimentato: pianificazione territoriale, architettura civile e industriale e in particolare architettura religiosa, settore che lo ha visto maggiormente impegnato.

Vengono analizzati anche interventi specifici che hanno qualificato la sua attività professionale, progetti per concorsi nazionali e internazionali, architetture pubbliche, architetture residenziali e ampio spazio viene dedicato a casi emblematici: il Monastero di S. Anna sulla collina folignate, l’edificio industriale sede della Campi Editore a Sant’Eraclio e il progetto dell’Auditorium San Domenico in Foligno.

Il co-curatore del libro, Prof. Paolo Belardi, ha brillantemente posto l’attenzione sul tema del “disegno”: Franco Antonelli è stato uno dei sempre più rari architetti che sapevano governare il progetto con le pre-visioni e le visioni offerte dal disegno manuale. Una qualità oggi in via di estinzione -e da molti ritenuta inutile o sorpassata- per via delle nuove tecnologie informatiche che hanno trasformato l’approccio alla progettazione semplificandone i processi creativi e offrendo geniali ma sbrigativi automatismi.

I disegni -alcuni di Franco Antonelli veri e propri capolavori- sono lo strumento che connettono il tratto grafico con l’oggetto immaginato, dal primo schizzo nebuloso che insegue un’idea, alla rappresentazione sempre più precisa e indagata, fino alla visualizzazione del progetto mettono in corrispondenza e misurano i rapporti dimensionali con le possibili soluzioni compositive e sono un prezioso strumento formativo perché in definitiva richiedono e impongono una disciplina rigorosa nel conoscere l’oggetto, il dettaglio, le sue geometrie. Tutti questi elementi sono stati certamente familiari all’Antonelli e sarebbe auspicabile che la sua produzione grafica, che in parte già impreziosisce il volume, venisse raccolta e maggiormente valorizzata in una pubblicazione monografica specifica, non escludendo un uso didattico di tanto prezioso materiale.

Negli autorevoli e approfonditi interventi di presentazione del libro, come inevitabile e sicuramente comprensibile, sono prevalse espressioni celebrative tout court correndo il rischio che nel non fare dei distinguo si generi una impressione magmatica che non rende giustizia né alla persona né all’opera perché le qualità vengono spalmate e confuse: dunque mi avventuro controcorrente con spunti di riflessione per porre attenzione su questioni a mio avviso preminenti, il rapporto con il contesto, la bottega,il rispetto dell’opera.

Un disegno di Franco Antonelli

Franco Antonelli è (stato) soprattutto un progettista con una grandissima padronanza degli strumenti di composizione architettonica fino a potersi spingere al dettaglio mai banale. I suoi lavori hanno privilegiato l’oggetto “edificio” con caratterizzazioni formali prevalentemente autoriferite, in un certo qual modo chiuse entro uno stretto e armonico rapporto dimensionale tra gli elementi costituenti, tuttavia la indubbia maestria che rende l’opera complessivamente coerente si caratterizza come poco propensa all’integrazione e l’indiscutibile capacità compositiva dell’architetto credo che a volte abbia reso difficile il rapporto con i contesti.

Questa inclinazione al primato dell’architettura sull’ambiente e ad una certa indipendenza rispetto all’esterno è una circostanza che se trasposta nel campo della formazione professionale potrebbe essere stata tra i motivi di freno nella creazione di una vera e propria “bottega” di giovani architetti che avrebbero potuto dare piena continuità all’opera del Maestro.

Un ultima considerazione: Franco Antonelli ha prodotto opere facilmente inscrivibili tra le già citate architetture contemporanee, facilmente riconoscibili anche in forza della sua cifra stilistica, perciò credo che occorra scongiurare le eventuali manomissioni maldestre cui troppo spesso assistiamo per incuria dei Regolamenti Edilizi, per indebite ingerenze normative (basti pensare all’impatto dell’ormai famigerato cappotto sulle facciate) o, peggio, per scarsa attenzione professionale laddove si propongono trasformazioni approssimative o disinteressate ai richiami deontologici che invece imporrebbero il rispetto delle altrui opere.

FRANCO ANTONELLI 1929-1994
a cura di Marzio Baraldi e Claudia Marandola
Electa, 2022

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