Testimonianza dell’architetto Guido Ingrao, raccolta da Giancarlo Antonelli

Cosa ricorda dell’aggressione di Luigi Schepisi?
Era l’imbrunire di una giornata di fine novembre del 1974, avevo 16 anni e prima di rientrare a casa, mi ero fermato a chiacchierare con amici incontrati casualmente in piazza Armellini, fra questi Luigi Schepisi, studente universitario della facoltà di medicina di pochi anni più grande di me. Piazza Armellini era una “piazzetta” del quartiere Italia, la zona di Roma in cui abitavo. Collocato fra centro e periferia, il quartiere aveva la fama di essere politicamente schierato a destra, con un forte insediamento del Movimento Sociale Italiano, che in via Livorno, proprio accanto a piazza Bologna, la piazza più importante di tutta la zona, aveva una delle sezioni più rappresentative ed attive dell’intera città. Tuttavia il quartiere era anche abitato da tanti giovani, figli del boom, che avevano le opinioni politiche più disparate o, in molti casi, proprio non ne avevano. Quelli che incontrai lì quella sera erano giovani accomunati più dalla musica o dal calcio, praticato sui campi di periferia, per strada o sui marciapiedi, che non dalla politica. Non tutti si definivano “compagni”, ma certamente non erano di destra, né, tantomeno, fascisti. La presenza ricorrente in quel luogo di questa piccola “comunità” libertaria, o, più semplicemente, libera dai condizionamenti e dalla retorica autoritaria e reazionaria tipica della destra missina, era mal sopportata dai neofascisti locali più esagitati, che consideravano l’intero quartiere “cosa loro”. Dunque, mentre eravamo in chiacchiere noi tre ragazzi, venimmo accerchiati da un gruppo di 7o 8 assalitori, comparsi silenziosamente dal nulla, muniti di spranghe e catene. Confesso che la paura e l’istinto di sopravvivenza ci spinse a scappare, cercando rifugio in uno dei negozi che si affacciavano sulla piazza. Caso volle però che Luigi Schepisi fosse venuto in bicicletta e al momento dell’aggressione vi fosse seduto sopra, appoggiato ad un albero. Questa circostanza gli fu fatale, perché non ebbe il tempo di fuggire né il modo di difendersi e, brutalmente colpito, fu ridotto in fin di vita. Ancora oggi, a distanza di quasi cinquant’anni, provo vergogna per quella fuga e per il fatto che lì per lì non mi resi conto che Luigi, rimasto solo, ne avrebbe inevitabilmente fatto le spese. Mi resta il rammarico di non aver provato a proteggerlo o portarlo via con me, ma penso anche che eravamo adolescenti impreparati, fisicamente e psicologicamente, che poco potevano fare di fronte ad un atto di violenza organizzata, cosi cieco e spietato.
Fu testimone e riconobbe Angelo Mancia?
Quando fummo accerchiati dal gruppo degli assalitori, che peraltro agirono tutti a volto scoperto, a conferma della impunità che ritenevano di avere, ebbi modo di guardarli in faccia. Io frequentavo il liceo Giulio Cesare, proprio quello della canzone di Antonello Venditti, e in quegli anni spesso capitava che gli studenti di sinistra venissero attaccati da squadristi dell’estrema destra, esterni alla scuola. Dunque, anche per difenderci, ben sapevamo chi fossero i più violenti e pericolosi fra loro. Questo è il motivo per cui, in quella sera di novembre, non mi fu difficile riconoscere e ricordare, fra chi ci stava aggredendo, il volto ed il nome di Angelo Mancia. Subito dopo l’aggressione feci la mia denuncia alla polizia, mentre Luigi era in corna in ospedale, combattendo, per diversi giorni, fra la vita e la morte. Alla fine, per fortuna, la sua fibra forte ebbe la meglio e dopo circa un mese lo potemmo riabbracciare.

Qual era il clima politico per i giovani in quegli anni ?
Certamente gli anni ‘70 furono anni tormentati. L’impegno politico e sociale è stato, per le giovani generazioni di allora, un fattore di crescita individuale e collettiva di grande importanza, che le ha educate a farsi carico dei problemi generali e a prendere coscienza della propria condizione. Questo contesto di grande rinnovamento e progresso è stato fortemente avversato dalla strategia della tensione, che oltre a produrre stragi e tentativi golpisti, ha utilizzato strumentalmente e a piene mani la manovalanza violenta di stampo neofascista. A Roma si viveva nella paura e i giovani di sinistra evitavano strade e piazze dove per il solo fatto di essere vestiti in un certo modo si rischiava di essere aggrediti e malmenati. Troppe volte i conflitti ideologici portarono ad una deriva violenta ed esasperata, di tipo quasi militare, che nulla aveva a che fare con il confronto, anche aspro, dei programmi e delle idee. Tanti gli episodi tragici avvenuti, da una parte e dall’altra: dall’atroce rogo di Primavalle, in cui morirono i fratelli Mattei, figli del segretario della locale sezione del Movimento Sociale Italiano, per mano di militanti di Potere Operaio, che di notte incendiarono la porta della loro abitazione, all’omicidio di Walter Rossi, giovane studente di sinistra assassinato a colpi di pistola mentre manifestava pacificamente nel suo quartiere, la Balduina, da militanti usciti dalla locale sezione missina. Penso che partendo da un’analisi approfondita degli eventi, una riflessione matura e consapevole su quella stagione andrebbe certamente fatta, più di quanto sino ad oggi sia accaduto.
Cosa seppe dell’uccisione del Mancia?
Molto poco, lessi la notizia sul giornale e ne rimasi sconvolto, in quanto era un esito aberrante e diametralmente opposto a quello che, legalmente, allora andavo cercando. Avrei voluto una corretta ricostruzione storica e un legittimo risarcimento morale, innanzitutto per Luigi, che aveva subito danni permanenti e, a causa delle percosse, quasi nulla ricordava dell’accaduto. Invece tutto si concluse nel peggiore dei modi immaginabili. La brutale esecuzione a colpi di pistola di Mancia fu rivendicata del sedicente gruppo “Compagni organizzati in volante rossa”, quale rappresaglia, per l’omicidio del giovane Valerio Verbano, militante del gruppo di estrema sinistra Autonomia Operaia, sequestrato e assassinato un mese prima nella propria abitazione per mano di neofascisti mai individuati. Verbano e Mancia abitavano a Roma, entrambi nel quartiere Monte Sacro. Verbano aveva 19 armi quando venne ucciso, Mancia 21 l’anno dell’aggressione al suo coetaneo Schepisi e 27 quando fu assassinato. Anche queste giovani età devono far riflettere.