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Qualcosa sulla vita. Qualcosa sulla droga.

Si rimane schiantati, senza risposte soddisfacenti sulla fine di Flavio e Gianluca. Gli esami tossicologici porteranno a dei risultati che permetteranno di capire come i due adolescenti sono morti. Ma non perché. A volte la vita si apre come una crepa, una crepa al contrario, che se ci si guarda dentro, si scivola, soffocando nel buio. Perché la risposta potrebbe essere ‘per gioco, per curiosità’”. Una riflessione della direttrice di Sedicigiugno Susanna Minelli, sulla tragica morte dei due adolescenti di Terni.

#EDITORIALE #CITTÀINVISIBILE
Di Susanna Minelli


Morire bambini nel proprio letto, persi in chissà quale sogno da cui non si può fare ritorno. Di Flavio e Gianluca, i due adolescenti ternani morti con ogni probabilità a causa di un cocktail letale di codeina e metadone, parla tutta Italia. Perché i loro volti da bambini sono i volti dell’incredulità che minano il nostro condiviso modo di intendere l’assunzione delle sostanze stupefacenti e tutto il mondo che vi ruota intorno fatto di invisibilità e corpi piagati dalla dipendenza. Perché i visi freschi e sornioni da bambini di quei due adolescenti mettono in discussione i codici, le credenze, e a volte, molto spesso i luoghi comuni che si ergono intorno al consumo delle sostanze.    E allora ripartono in pompa magna i proclami, le accuse del popolo del web e stavolta, più che mai i “mea culpa” delle istituzioni. Dagli insegnanti alla preside, fino al procuratore. Da contraltare fanno i commenti carichi di odio e livore sui social contro le famiglie e lo spacciatore. Si cerca un colpevole. Ma stavolta, si cerca un colpevole, che vada oltre il volto e le azioni del responsabile di fatto della cessione del metadone, un tossicodipendente di lunga data di 41 anni seguito dai servizi sociali, che per una decina di euro avrebbe ceduto la sostanza ai due ragazzini. Il colpevole c’è, fattivamente, ma non soddisfa. Aldo Maria Romboli , sembra non incarnare sufficientemente il ruolo del male, la causa della tragedia. Risulta un attore, un personaggio triste, senza speranza. Un cattivo per caso. Appena appreso del suo arresto e della sua età, mi sono chiesta con che coraggio abbia potuto cedere la droga a quei due ragazzini con la faccia da bambini. Con che senso di umanità, se la responsabilità è annichilita dalla dipendenza. Ho addirittura sperato, prima che si sapesse la sua identità, che fosse stato un coetaneo dei ragazzi il pusher: avrei trovato una spiegazione plausibile alla tragedia. Dettata dall’irresponsabilità, dalla non conoscenza dei rischi. E invece no, per pochi euro accade il tutto. Romboli è un uomo perduto. Lo qualifica la sua azione. Lo qualifica quello che viene raccontato dalle testate. Non è il trafficante di coca che si arricchisce e con gli introiti si gode la vita tra vizi e oggetti di lusso, ma è la perdizione, il non ritorno, il non senso. E allora stride la logica della tragedia, avremmo preferito un pusher con Rolex d’oro  al polso senza scrupoli. Perché noi esseri umani, dalla notte dei tempi vogliamo imparare qualcosa dal male, vogliamo un insegnamento. E invece abbiamo trovato qualcos’altro. Un invisibile che si fa visibile con un atto pazzesco e senza un perché. Un atto leggero ma dai risvolti tragicissimi. Perché quindici, o venti euro che siano, non ti cambiano la vita. Magari solo le sorti di una serata: due birre e un pacchetto di sigarette. Il nulla. 
Si rimane schiantati, senza risposte soddisfacenti sulla fine di Flavio e Gianluca.  Gli esami tossicologici porteranno a dei risultati che permetteranno di capire come i due adolescenti sono morti. Ma non perché.  A volte la vita si apre come una crepa, una crepa al contrario, che se ci si guarda dentro, si scivola, soffocando nel buio. Perché la risposta potrebbe essere “per gioco, per curiosità”. E non per disagio, per rabbia. Un colpo duro per la nostra società, che della narrazione della droga, ne ha fatto sempre e solo una questione di disagio esistenziale alla base del consumo. Ne usciremmo, così, disorientati, sconfitti, senza armi di difesa. Ma già lo siamo, e da sempre, di fronte a queste voragini dell’esistere, a cui vogliamo sempre e solo dare una spiegazione scientifica, che talvolta non c’è. Le cose accadono senza logica a volte. E la morale di questa tragedia è che la morale non c’è. Ci si chiede che senso abbia l’esistenza se non abbiamo nemmeno il balsamo della spiegazione. Si muore a 15 anni per un’ auto pirata, per una malattia, per tante, troppe cose. Per droga nel proprio lettino fatto di sogni e soprattutto di desiderio di fare tante cose e di provare emozioni forti. Nonostante chissà quante volte i genitori abbiano fatto le loro raccomandazioni ai loro bambini prima di uscire. È dura, orribile, impensabile. Ma poco si poteva fare di fronte a tutto ciò che è accaduto lunedì sera a Terni. E le parole del procuratore Liguori, in conferenza stampa offrono un grande conforto che sa di accettazione, ma che disarmano il nostro senso delle cose e dell’esistere: “Le famiglie non hanno nessuna responsabilità”. Ed è vero. 

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