A scuola di...

Ritorno al futuro. I cento anni di don Lorenzo Milani

Di Sabina Antonelli

“Ritorno al futuro” è il titolo di una famosissima saga cinematografica degli anni ottanta e novanta, ideata e sceneggiata da Bob Gale e Robert Zemeckis, diretta da quest’ultimo e prodotta da Steven Spielberg. Chiunque abbia una certa età,  nel leggere queste parole va immediatamente col pensiero ai personaggi principali del film e sorride ricordando la geniale follia di Doc e la bontà irruenta di Marty McFly.  Naturalmente non ho intenzione di parlarvi del film. L’articolo di questo mese di maggio ha tutt’altro contenuto però, riflettendo sul tema, all’improvviso mi è venuto in mente questo titolo ed ho pensato “è perfetto per quello che voglio dire”.
Analizziamo insieme questa espressione “Ritorno al Futuro”. Sembra essere un contrasto logico in quanto mette insieme qualcosa come passato e futuro che, a prima vista, sono ben separati e distanti. In linguistica è un ossimoro, cioè una figura retorica consistente nell’accostare, nella medesima locuzione, parole che esprimono concetti fortemente contrari. Eppure è proprio questa grande forza e la notevole incisività che caratterizza le espressioni basate su ossimori, che ha reso tale figura retorica ampiamente utilizzata sia nella lingua di tutti i giorni (lucida pazzia, silenzio assordante…) sia nelle opere di grandi scrittori. Basta pensare al romanzo di Milan Kundera “L’insostenibile leggerezza dell’essere” o alle parole di Quasimodo nella Lettera alla madre in cui scrive “Mater dolcissima… gli alberi si gonfiano d’acqua, bruciano di neve…”
Ma non è nemmeno la linguistica l’argomento del mio articolo.


Quello che voglio fare è condividere con voi un ricordo.
Avrò avuto si e no dieci anni ma ancora oggi ho davanti ai miei occhi, gli occhi di mio padre. Era seduto sul divano di pelle nera della sala e leggeva come tante altre volte. Decine, centinaia di libri stipati in tutte le stanze della casa e del suo studio. Pane quotidiano per lui che ha sempre avuto un’infinita sete di parole, di bellezza, di conoscenza.
A un tratto chiuse il libro. Lo aveva finito. Si alzò e i suoi occhi brillavano, come sempre quando si entusiasmava di fronte a qualcosa di bello, per un pensiero che gli nasceva in testa, mentre usava la matita per disegnare, spinto da un fervore incontenibile, quando gli buttavo le braccia al collo e lo abbracciavo stretto.  Si avvicinò e mise tra le mie mani quel libro dalla copertina che a me sembrò decisamente anonima, quasi triste. Bianco, con qualche scritta nera e, come unica nota di colore, il titolo di un bel verde acqua.
Ricordo di aver pensato “che storia ci sarà mai qui dentro da piacere così tanto a papà?”
Cominciò a parlare della bellezza delle parole appena lette, della loro grandezza, del coraggio di un uomo, della visione di un mondo e di una società che combaciava perfettamente con la sua. Mi disse: “da grande dovrai leggerlo! E te ne innamorerai come è accaduto a me”
Qualche anno più tardi, quando dovevo decidere del mio futuro, papà tirò fuori per me, dalla sua libreria quel libro. Era “Lettera ad una professoressa” di Don Lorenzo Milani. 


Chi era Lorenzo Carlo Domenico Milani Comparetti, nome all’anagrafe di Don Milani, al di là del suo essere sacerdote? Un rivoluzionario, un maestro, un sociologo, un profeta, un visionario, un pacifista? Ognuno potrà scegliere la risposta che crede.  Di certo è stato un uomo “che ha anticipato il futuro” e tornare a riflettere sul suo pensiero è proprio un ritorno al futuro. Il suo pensiero è ancora attuale perché libero. Libero da pregiudizi, libero da preconcetti, libero da ogni forma di costrizione e indottrinamento.
Papa Francesco dice di lui: “La scuola, per don Lorenzo, non era una cosa diversa rispetto alla sua missione di prete, ma il modo concreto con cui svolgere quella missione, dandole un fondamento solido e capace di innalzare fino al cielo. E quando la decisione del Vescovo lo condusse da Calenzano a qui, tra i ragazzi di Barbiana, capì subito che se il Signore aveva permesso quel distacco era per dargli dei nuovi figli da far crescere e da amare. Ridare ai poveri la parola, perché senza la parola non c’è dignità e quindi neanche libertà e giustizia: questo il suo insegnamento
Pier Paolo Pasolini, in un’intervista del 1967, anno di uscita del libro dopo la morte di Don Milani, esprime la propria meraviglia con queste parole: “La prima cosa che mi sento di dire su questo libro è che è un libro veramente bello. C’è una definizione di Berenson che dice qual è il metodo pratico esistenziale per giudicare la bellezza di un libro ed è l’aumento di vitalità che dà. Leggendo questo libro la vitalità aumenta in modo vertiginoso, perché è un libro scritto con grande grazia, con grande precisione, con assoluta funzionalità e con grande spirito che da una parte fa ridere quasi come fosse un libro umoristico, da ridere da soli, e nello stesso tempo, immediatamente dopo aver riso, viene un nodo alla gola, un groppo alla gola, addirittura le lacrime agli occhi tanta è la precisione e la verità del problema che ci pone: il problema della scuola italiana…” Pasolini termina la sua intervista dicendo che “Lettera ad una professoressa” non riguarda solo la scuola ma, nella realtà, riguarda la società italiana e la qualità della nostra vita.

don Milani e Pasolini


Ecco perché mio padre era entusiasta del libro. Ecco perché lo ha letto e riletto più volte invitandomi a fare altrettanto.
Gli scritti di don Milani sono ancora estremamente attuali non solo per riflettere sulla scuola ma anche su pacifismo e attivismo. Il tema della guerra e della responsabilità personale, che l’autore ha affrontato ne “L’obbedienza non è più una virtù” (1965) per difendere gli obiettori di coscienza dal servizio militare, si aggiungono a quelli dello sfruttamento dei più deboli, del precariato, della disoccupazione e del lavoro minorile, piaghe che, a distanza di anni, ancora sono vive nella nostra società.
Sulla figura di don Milani hanno scritto in tanti. Anche noi di Sedicigiugno abbiamo già pubblicato un articolo del Dirigente Scolastico Dott. Francesco Valecchi nel numero di gennaio 2022 intitolato “La paura dell’uomo nero” ma non è mai fuori luogo ricordare questa figura così importante, l’avventura umana e intellettuale testimoniata dalla sua vita, l’attualità del suo pensiero e, non certo ultima, la grandezza del suo cuore.
È evidente che le scelte di vita di Don Milani, il suo pensiero educativo, pedagogico e didattico, i suoi ideali e principi politico-sociali, siano scaturiti da profonde motivazioni umane e personali. Trasformare un “esilio” in una rivoluzionaria missione educativa, scegliere i poveri, i deboli e spendersi per dare loro consapevolezza e coscienza personale,  sostenere il linguaggio e la parola come strumenti indispensabili per una vita autenticamente umana e sociale, pensare alla scuola come base per la costruzione di una società comunitaria, cogliere il valore indispensabile della “disobbedienza” che diventa virtù quando si oppone alle ingiustizie, sono la misura della grandezza di quest’uomo.
E allora nel centenario della sua nascita (il 27 maggio è il suo compleanno) vogliamo, con questo breve articolo, ricordarlo con gratitudine per le sue scelte nette e coerenti, le sue prese di posizione ferme e inamovibili, il linguaggio chiaro, tagliente e preciso, la sua logica stringente e argomentativa.
Il suo messaggio, che ci arriva da un passato ormai lontano, è profetico, attuale, semplice e moderno. È contenuto in due piccolissime parole “I Care” cioè “mi prendo cura”. Parole che sono alla base di una società (e dunque di una scuola) che pensa, sceglie, agisce con il cuore, orientata alla presa di coscienza civile e sociale, improntata al valore dell’accoglienza, del rispetto e della convivenza civile.

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