
Di Fausto Gentili
(In foto: Mario Guidi)
Nel Dicembre dell’anno appena passato, per due volte in poche settimane la piccola comunità di Sedicigiugno è stata colpita da un grave lutto. Dopo la morte di Fausto Fusconi, storico militante comunista, organizzatore infaticabile, per decenni, della Festa dell’Unità di Sterpete, padre di Mirko e suocero della nostra amministratrice Elisa Ciancaleoni, il 29 dicembre ci siamo stretti attorno a Giovanni Guidi e Rita Cacchione per l’ultimo saluto a Mario Guidi, una figura di primo piano nel mondo del jazz, una presenza defilata ma costante nella vicenda nella sinistra cittadina. Lo ricordiamo con le parole pronunciate in quell’occasione da Fausto Gentili.
Quando ti muore un amico un dialogo si interrompe, e tu sai che per riprenderlo potrai contare solo su quello che hai già: le parole che vi siete già detti, le occhiate già scambiate, la musica che ti ha fatto conoscere o i libri che gli hai regalato. È un mondo che va in pezzi, un equilibrio che si rompe – e certo prima o poi ne troverai un altro, perché noi esseri umani siamo fatti così, siamo animali capaci di resistere al dolore – ma non sarà più la stessa cosa.
E allora ti restano due strade.
La prima è quella di continuare da solo, trasformare il dialogo in un monologo, frugare tra i ricordi. Ripescare vecchie fotografie. Sfogliare le pagine di quella deforme caricatura di noi stessi che veniamo consegnando ai social media. L’altra è quella che, senza deciderlo, abbiamo intrapreso, quando – nella bella casa di Sterpete di Mario – siamo stati travolti dal passaggio di un fiume di persone: ognuna col suo ricordo, ognuna con il suo aneddoto, la sua battuta, la sua storia da raccontare, ed ha preso forma a poco a poco uno strano ritratto di Mario. Un ritratto cubista, in cui le prospettive si accavallano, i punti di vista si sovrappongono e tu alla fine vedi più di quello che avevi visto fino ad ora. E, via via che il tempo passava, un’altra immagine veniva emergendo, una cosa che era già lì ma che ancora – fino a venerdì – non era in piena luce, e cioè una comunità di persone unite da un filo sottile, invisibile e tenace: la comunità degli amici di Mario e della sua famiglia bella e complicata.
Ecco, se volete possiamo ora prolungare, con quelli di voi che si sentono di farlo, questo esercizio di condivisione, e fare provvista – per l’inverno che inevitabilmente verrà – gli uni dei ricordi degli altri.
Da parte mia voglio dire, di Mario, solo tre cose.
Innanzitutto, che Mario è stato un grande professionista. Lo ha scritto Enrico Rava nel suo bellissimo post Facebook, lo hanno ripetuto La Repubblica, Il Messaggero, La Nazione, possono testimoniarlo i tanti artisti che lo hanno conosciuto. Ma è giusto ripeterlo qui a Foligno, perché tanti dei nostri concittadini lo hanno appreso appunto il giorno della morte dai giornali. Perché Mario applicava a se stesso la stessa misura di understatement che esigeva dagli altri, e non ostentava i suoi successi, né esibiva come trofei le amicizie prestigiose che andava intessendo in giro per il mondo. L’avrebbe trovata una cosa di cattivo gusto, a cui riservare la stessa tagliente ironia con cui faceva a fettine la vanità dei vanagloriosi.
La seconda cosa che voglio dire è che Mario è stato un uomo di sinistra, con buona pace di quanti continuano a spiegarci che tra destra e sinistra non c’è differenza. Un uomo di sinistra, vale a dire una persona consapevole che l’ingiustizia non è un incidente di percorso, un infortunio della storia ma la pietra angolare intorno a cui sono organizzati i rapporti sociali, e che è giusto contrastarla. Certo, non un uomo da podio né un uomo da corteo. Ma uno che non ha mai fatto mancare il suo sostegno a quelli che sui podi ci salgono e nei cortei ci si tuffano. E tanto meno a chi mette in mare una nave per salvare vite umane. Uno che quando prima Rita poi Giovanni gli hanno portato in casa l’espressione vivente dell’ingiustizia del mondo, volti e voci e corpi di persone sopravvissute a mille violenze, non ha esitato un attimo a spalancare la porta ed aggiungere più di un posto a tavola ogni volta che serviva.
Infine, e soprattutto, Mario è stato un amico. Una persona che dell’amicizia possedeva le virtù essenziali: la lealtà, la sincerità, la generosità. Negli ultimi mesi, poi, ci ha mostrato una virtù che non gli conoscevamo, e della quale dobbiamo essergli particolarmente grati: perché è stato il suo coraggio a consentirci di avere con lui, fino all’ultimo, un rapporto di verità, senza giri di parole né bugie consolatorie. Si dice spesso che le vere amicizie sono quelle che nascono nei banchi di scuola, o comunque negli a anni dell’adolescenza, e sappiamo tutti, per esperienza personale, che c’è del vero in questa affermazione. Ma ci sono uomini fortunati cui capita di incontrare nuovi, veri amici anche nell’età adulta. Uno di questi uomini fortunati sono io, ed anche di questo voglio ringraziarlo.