Epidemia sanità Società

Il grande caos

Se, come abbiamo visto, le enormi falle nella gestione regionale della pandemia gravano sul personale ospedaliero, ancora di più gravano sui principali cardini della lotta al covid: i medici del territorio, cioè guardie mediche, medici di famiglia, personale dell'USCA. Ce ne parla una giovane guardia medica, intervistata per XVI Giugno da Aurora Tazza.

#SOCIETÀ #SALUTE #EPIDEMIA
Intervista a cura di Aurora Tazza


Se, come abbiamo visto, le enormi falle nella gestione regionale della pandemia gravano sul personale ospedaliero, ancora di più gravano sui principali cardini della lotta al covid: i medici del territorio, cioè guardie mediche, medici di famiglia, personale dell’USCA. Ce ne parla una giovane guardia medica, intervistata per XVI Giugno da Aurora Tazza.

La situazione di contagio in Umbria è molto cambiata rispetto a Marzo. Come guardia medica, quali sono le principali difficoltà che hai riscontrato nell’ultimo periodo?
«Diciamo che già a partire da metà settembre si è visto un incremento della richiesta di visite per sintomatologie riconducibili al quadro clinico del covid. Il fatto è che la guardia medica come sistema di continuità assistenziale è stato, per il primo momento, lasciata a se stessa, in quanto ad inizio ottobre, avevamo il dovere di segnalare eventuali sintomatici, ma l’indirizzo email del dipartimento igiene al quale dovevamo scrivere non rispondeva. Abbiamo poi scoperto che questo indirizzo era stato sospeso, ma tutto questo non ci è stato comunicato da nessun organo amministrativo. Intorno al 15 ottobre sono stati attivati nuovi indirizzi email per la comunicazione inerente ai sintomatici rilevati nei turni di guardia, ma anche questi non davano esito. Ad oggi la situazione è lievemente migliorata».

Come mai?
«Per varie ragioni. Innanzitutto è migliorata la comunicazione tra medici di medicina generale e medici dell’USCA. Inoltre, dopo il bando del 20 ottobre, la carenza di organico è andata leggermente a risolversi». 

Hai citato già molte figure. Partiamo dal medico di medicina generale. Quali sono i suoi compiti durante questa fase, quanto è il lavoro effettivo che deve svolgere?
«Innanzitutto, il medico di medicina generale ha l’ultima parola sulle scelte inerenti la terapia da seguire anche per i pazienti covid. Per fare ciò deve lavorare d’orchestra con l’USCA, il servizio di assistenza medica che si presta alle visite dei pazienti covid accertati. Rispetto ad inizio ottobre, i medici di medicina generale hanno iniziato a segnalare subito anche i casi sospetti covid, cosa che prima non succedeva sia perché autonomamente decidevano che non si trattava di covid, sia perché il sistema non era ben coordinato con direttive univoche proveniente dagli organi amministrativi regionali e nazionali. Ad oggi, però, il medico di medicina generale è oberato di lavoro. Oltre alla gestione del paziente contagiato, deve occuparsi del piano di vaccinazione che, al contrario di quanto promesso dalla regione [nota bene: la giunta regionale aveva garantito il vaccino per tutti i soggetti di età maggiore ai sessant’anni, di età inferiore ai sei e per tutti gli operatori del pubblico servizio], subisce rallentamenti poiché i vaccini consegnati sono meno di quelli dell’anno scorso. Inoltre, il medico di medicina generale deve concentrarsi sulla cura del malato cronico, che non può avere accesso agli esami specialistici. Deve rinnovare i piani terapeutici, cosa che solitamente spetta agli specialisti. Per quanto riguarda le nuove diagnosi di sospetti tumori è costretto ad indirizzare i pazienti agli ambulatori privati, poiché il pubblico non può gestire questo tipo esami al momento. Deve produrre certificati ed adempiere ai passaggi burocratici che sono, onestamente, una babele di procedure che spesso allungano i tempi e rendono più complicata la gestione di ogni singolo paziente».

Rimanendo nei compiti del medico di medicina generale, cosa pensi del servizio richiesto di prelievo dei tamponi in ambulatorio?
«Questa pretesa, che tengo a precisare è stata firmata dalla FIMG, ma che nessuno dei medici accetta, è totalmente assurda. Le ragioni sono semplici: oltre a grave sull’impegno del singolo medico di famiglia che è già più che sovraoccupato, dovendo sopperire alla mancanza di organico e di mezzi che lo stato e in particolare la regione hanno creato, si richiederebbe l’utilizzo di spazi totalmente inadeguati. Gli ambulatori di medicina generale sono ambienti frequentati anche da pazienti fragili, che verrebbero messi a rischio dalla frequentazione di pazienti anche solo sospetti covid. Questo perché gli ambienti non sono sanificabili, spesso sono troppo piccoli, pieni di oggetti, totalmente inadatti al tipo di sanificazione richiesta da tali frequentazioni».

Prima hai fatto riferimento ai medici dell’USCA e ad un bando. Quali sono le funzioni dell’USCA e che differenze ci sono dopo il bando?
«L’USCA è un’unità speciale creata appositamente per l’emergenza covid attraverso un bando fatto uscire alla fine di Marzo. Da Marzo ad Ottobre è stato fatto uscire un unico bando. Questo aveva il compito di trovare settantacinque medici, da distribuire poi in tutto il territorio. La verità, però, è che da Marzo ad Ottobre hanno lavorato solo poco meno di quaranta medici. Di questi quaranta, solo quattro sono stati assegnati al distretto assisano. Va da sé che i turni che devono svolgere siano tutti da dodici ore, in alternanza continua. Il compito dell’USCA è quella di gestire i pazienti covid, in coordinamento con il medico di medicina generale, al fine di evitare l’ospedalizzazione. Perciò, parametrano il paziente e attivano quelle terapie che sono di supporto e possono migliorare l’esito e il decorso dell’infiammazione. A differenza delle altre regioni, prima fra tutti l’Emilia-Romagna, i medici dell’USCA umbra non sono formati per la gestione di questo tipo di casi. In Emilia sono stati fatti corsi di formazione e soprattutto è stata concessa all’USCA la possibilità di fare ecografie toraciche domiciliari, così come altri esami utili proprio ad evitare l’ospedalizzazione. In Umbria niente di tutto questo è stato reso possibile. Rispetto ad altre regioni, la sezione USCA ha molto meno possibilità di gestione nella cura dei pazienti. Il 20 ottobre, è stato fatto uscire un altro bando. Le adesioni sono state molte di più, perché sono più le garanzie rispetto a Marzo. Inoltre, tengo a sottolinearlo, contemporaneamente al bando è stata resa pubblica una delibera per cui i medici di guardia medica sono obbligati ad andare a visitare i pazienti covid, sia accertati sia sospetti. Questo prima non accadeva. Se il paziente era urgente si chiamava il 118, altrimenti si rimandava al medico curante. Aspetta, stai dicendo che fino a fine ottobre la guardia media non visitava pazienti covid?
No. Sto dicendo che non era obbligata a farlo. Questo perché non è dotata dei giusti mezzi. L’USCA è un’unità medica pensata solo in funzione del covid, perciò visita solo quel tipo di pazienti, con le dovute tutele del personale. La guardia medica non ha i mezzi adeguati e soprattutto visita una molteplicità di casi durante il turno che possono essere messi a rischio anche da visite di sospetti covid. Basti pensare, come esempio, che la macchina usata in guardia medica è la stessa usata dalle infermiere per le visite a domicilio e gli ambienti utilizzati dalla guardia medica sono gli stessi usati dal centro prelievi durante la giornata. L’USCA ha una sua vettura, dedicata e sanificata. Noi no».

Quando dici che non siete adeguatamente protetti fai riferimento ai dpi?
«Anche. Durante il turno non siamo forniti di dpi. L’unica cosa che la regione offre è il kit per sospetto covid. Ne vengono forniti otto per tutta la sede; una volta finiti vanno riordinati. Questo kit è composto da un camice non certificato, un paio di occhiali da riutilizzare (perciò da disinfettare ogni volta), una mascherina ffp2 nk95, una mascherina chirurgica, un copriresta e un copriscarpe. Quattro paia di quanti non idonei (questa è una mancanza a livello nazionale, se a marzo mancavano mascherine, ora mancano guanti in nitrile). Personalmente mi sono dotato di un kit base più idoneo aggiungendo al mio equipaggiamento una tuta in tnt impermeabile e una visiera usa e getta; guanti e mascherine a volontà. So che sembra poco, ma il mio kit, che uso solo in sospetti covid costa meno di otto euro. La regione ce ne fornisce uno che costa ancora meno, con molti elementi non idonei al tipo di servizio».

Ma se sono state attivate queste soluzioni, come mai la “situazione covid” non sembra poter finire in breve tempo?
«Le ragioni sono tante. Prima di tutto mi preme dire che è stato fatto tutto nella formula del “troppo poco, troppo tardi”. Il primo bando dell’USCA che è risultato un buco nell’acqua, il mancato coordinamento delle varie unità, la mancanza di linee guida univoche e ufficiali, l’assoluto nulla normativo di quest’estate e soprattutto il fallimento del tracciamento degli asintomatici».

Perché è saltato il tracciamento?

«Bisogna sottolineare che questo è un problema nazionale, a differenza della formazione delle USCA. In Umbria il problema principale è stato il non aumentare il personale del dipartimento di igiene dedicato al tracciamento. Alla regione erano stati concessi 25 milioni di euro per potenziare il sistema sanitario regionale. Questi soldi non sono stati spesi perché i bandi per richiamare il personale sono stati avviati troppo tardi. Il tracciamento è ricaduto in mano ai medici di medicina generale e guardia medica, ma, come dicevo prima, il sistema ha fallito ad inizio ottobre. Stiamo ripartendo ora, meglio di prima, ma per il tracciamento è troppo tardi».

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