Di Gionata Baldaccini*
Una premessa
“All’Art. 19 comma 1.1 […] il terzo e il quarto periodo sono soppressi”. Recita così la parte più decisiva del D.l. 20/2023 entrato in vigore poco più di un mese fa e che va a modificare l’articolo summenzionato del Testo unico immigrazione, come risposta immediata alla tragedia del naufragio avvenuto nelle acque nei pressi della cittadina calabrese di Cutro.
Che cos’è la protezione speciale
Il D.l. 20/2023, entrato in vigore dall’11 marzo 2023 ha eliminato la possibilità di richiedere il rilascio del Permesso di soggiorno per Protezione speciale, in presenza di legami familiari sul territorio italiano e in caso di un buon livello di integrazione raggiunto. La Protezione speciale si aggiungeva alla Protezione internazionale per Asilo (Status di rifugiato) e alla Protezione sussidiaria (cioè le due fattispecie di Protezione internazionale avente disciplina omogenea in tutti i Paesi UE), come terza e ultima possibilità di ricevere un Permesso di soggiorno se non si aveva diritto ai primi due. Lo Stato italiano riconosceva attraverso il proprio Ordinamento e il rispetto del Diritto internazionale le ragioni umanitarie di tutela della persona, con il rilascio di un Titolo di soggiorno di 2 anni con il quale lavorare, prendere la residenza, iscriversi al sistema sanitario nazionale, insomma costruirsi la base per una vita dignitosa. Era riconosciuta a favore del cittadino straniero che dimostrasse l’esistenza di fondati motivi per ritenere che l’allontanamento dal territorio nazionale italiano avrebbe comportato una violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, tenendo conto della natura e della effettività dei vincoli familiari, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata della sua presenza nel territorio nazionale nonché dell’esistenza o inesistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d’origine. Il concetto di vita privata e familiare era interpretato in maniera estensiva, facendo riferimento all’art. 8 della CEDU (Corte Europea dei Diritti Umani) e alla giurisprudenza della Corte EDU.

Veniva dunque considerato, ai fini del riconoscimento della Protezione speciale, anche il livello di integrazione raggiunto in Italia, individuato tramite indici quali il possesso di un contratto di lavoro e il grado di conoscenza della lingua italiana.
È ancora possibile, tuttavia, richiedere la Protezione speciale in caso di rischio di persecuzione, tortura o trattamenti inumani e degradanti nel Paese di origine, o in caso in cui il rimpatrio sia contrario a obblighi di diritto internazionale: elementi già presenti nelle Convenzioni e norme afferenti alla Protezione internazionale, quindi ridondanti e senza alcun apporto ulteriore alla giurisprudenza.
Breve analisi di contesto
Per una corretta interpretazione, bisogna leggere questa fase alla luce dei Decreti che si sono susseguiti a partire dall’approvazione, nel dicembre 2022, delle quote di ingresso per motivi di lavoro, cioè:
– il Decreto Flussi 2022: l’unico dispositivo esistente in Italia che dà la possibilità di entrare con un contratto di lavoro. Assolutamente insufficiente, come affermato dai portavoce delle più importanti organizzazioni datoriali.
– Il D.l. 1/2023 (cd. Decreto anti-O.N.G.) convertito in legge il 24 febbraio, che ha ripristinato la guerra contro le navi finanziate dalle O.N.G..
– Il D.l. 20/2023 (cd. Decreto immigrazione di Cutro).
Si arriva così al Decreto del 17 marzo che ha introdotto in disciplina nuovi Paesi da inserire nella lista dei “Paesi di origine sicuri”. Altra decisione, espressa in un paio di scarne pagine, che renderà quasi impossibile chiedere ed ottenere la Protezione internazionale da parte delle persone provenienti dai Paesi inclusi nella lista stessa.
La dinamica si potrebbe grossolanamente sintetizzare così e con stile impersonale: si finge di aumentare i flussi regolari di ingresso tramite lavoro, giustificando una stretta sulla migrazione irregolare che è l’unico vero obiettivo e ci si ammanta di voler evitare ulteriori morti in mare, dando in pasto all’opinione pubblica le O.N.G. che alimentano le fantasie di complotto di una parte consistente di popolazione in maniera trasversale, a prescindere dagli schieramenti politici (vedi Piano Kalergi di sostituzione etnica, QAnon e deliri affini), concludendo con l’affermare che i Paesi dai quali provengono le persone sono sicuri e quindi chiunque si sposta, migra e cerca di raggiungere le coste italiane ed europee, lo fa in maniera illegittima.
La forte contrazione dei diritti di ottenimento del Permesso per Protezione speciale risponde alla logica, promossa dal Governo attuale ma impostazione, di nuovo, più o meno trasversalmente condivisa, per cui maggiori sono le possibilità di ottenere un Titolo di soggiorno in Italia, maggiore è il rischio che tali possibilità rappresentino un pull factor, cioè alimentino nelle persone la volontà di migrare. L’altro canale privilegiato è l’identificazione del nemico, lo scafista (che il più delle volte è il migrante che non può permettersi il costo della traversata, o banalmente ha esperienze pregresse di navigazione) o in alternativa il gruppo Wagner, certamente presente in Libia come in altri Paesi della zona del Sahel e dell’area sub-sahariana, ed assurto di recente a principale push factor; in pratica sarebbero loro che costringono le persone a migrare. Questa logica binaria determina scelte che tralasciano quindi qualsiasi analisi complessa basata su discipline come la geopolitica, l’antropologia, la demografia, la storia, lo studio delle relazioni internazionali, la sociologia delle migrazioni, la conoscenza profonda delle differenti dinamiche di ogni Paese del continente africano dai quali originano migrazioni di qualità e quantità non paragonabili l’una con l’altra.

Si evince in maniera chiara la volontà di porre un accento sulla condizione di irregolarità (“clandestinità” è un termine semanticamente connotato in maniera discriminatoria e non ha alcun valore giuridico) dei migranti “economici” Vs i migranti che forzatamente cercano salvezza scappando dalle situazioni di guerra o conflitto generalizzato. I primi possono/devono essere respinti, mentre solo i secondi rispondono agli stringenti requisiti proposti dalla Convenzione di Ginevra in qualità di vittime di una o più delle fattispecie previste dalla Convenzione e dai Regolamenti europei, che stabiliscono i criteri per l’ottenimento della Protezione internazionale.
Il fenomeno migratorio, però, presenta sempre intersezionalità tra le caratteristiche che definiscono la migrazione forzata e quelle della migrazione dettata da altri motivi, che può svilupparsi da ragioni di natura economica o comunque legate alla volontà di emancipazione. Ragioni però che durante il viaggio attraverso le varie rotte divenute tristemente famose, assumono dimensioni in cui torture, rapimenti, sofferenze, sfruttamento (non si parla più di passaggio illegale di persone ma di tratta di persone), costringono persone alla ricerca di auto-determinazione ad affrontare traumi che le qualificherebbero in teoria come le vittime accettate dai dispositivi legislativi europei; con il problema che le rigide previsioni di legge sul campo del riconoscimento della Protezione internazionale, oltre ad essere spesso inattuali (non prendono ad esempio in considerazione il problema devastante delle crisi climatiche), non sempre sono in grado di tutelare appieno chi ne avrebbe diritto.
Le conseguenze a livello locale
Secondo i dati del rapporto del CIR (Consigli Italiano per i Rifugiati), nel 2022 le domande esaminate di Richiedenti asilo in Commissione territoriale sono state circa 52.600: il 53,5% si sono tradotte in dinieghi, il 12% nel riconoscimento dello Status di rifugiato, il 13,2%, nella Protezione sussidiaria e il 21,2% nella protezione speciale. Quindi sono stati 28.141 i richiedenti con diniego, mentre 11.151 coloro che hanno ottenuto la Protezione speciale. Attraverso le analisi di A.S.G.I.* rispetto al 2022 è perciò possibile sostenere che all’incirca altre 16.600 persone tra quelle diniegate saranno in grado di ottenere un Permesso di soggiorno per Protezione speciale grazie al ricorso in Tribunale, ovviamente esperito prima dell’11 di marzo 2023. Alla prova dei fatti, la soppressione della Protezione speciale porterà quindi ad un incremento notevole delle persone senza Titolo di soggiorno.
I dati ISTAT certificano che prima della pandemia l’Umbria e in particolare la Provincia di Perugia aveva una presenza di cittadini stranieri regolarmente soggiornanti superiore alla media nazionale, con una leggera flessione generata dalla crisi economica sociale e abitativa esplosa, seppur pre-esistente, per le conseguenze dell’emergenza. Attualmente ci si attesta attorno al 10% (ISTAT, Dossier statistico immigrazione 2021 curato dal Centro studi e ricerche IDOS): una condizione di strutturata multi-etnicità alla quale si sono aggiunte nuove comunità, come quella nigeriana, stabilitesi sul territorio umbro anche in seguito all’arrivo di Richiedenti asilo. Soprattutto per questi ultimi la contrazione e la soppressione delle possibilità di ottenimento di un Permesso di soggiorno, soprattutto come si diceva, dopo il diniego da parte delle Commissioni e dei Tribunali deputati, non può che determinare un aumento esponenziale di situazioni di irregolarità.

Sul territorio folignate diverse sono le persone che si sono rivolte agli uffici ed ai servizi di carattere sociale; si tratta spesso di Richiedenti asilo diniegati che nell’attesa della conclusione della procedura hanno trascorso anni in Italia imparando la lingua, sviluppando reti amicali e affettive, lavorato un po’ ovunque in modalità esclusivamente precaria, o altri che avevano magari perso i requisiti per il rilascio dei Permessi per famiglia o lavoro, la cui unica chance era proprio rappresentata dalla richiesta in Questura della Protezione speciale.
Maggiori tutele per il migrante sono di importanza capitale di fronte alla quasi impossibilità di ingresso in Europa, data principalmente dal fatto che la cosiddetta “Fortezza Europa” ha quasi totalmente chiuso i canali di arrivo regolare: i Consolati non rilasciano i visti per timore del “rischio immigrazione”, cioè la permanenza irregolare sul territorio italiano dopo la scadenza del Visto stesso (generalmente 90 giorni), le quote del Decreto flussi per l’ingresso con contratto di lavoro sono minime e concesse soltanto ai Paesi più collaborativi in chiave di controllo delle proprie frontiere, le famiglie possono ricongiungere parenti a fronte del rispetto di regole molto rigide.
Per concludere, proprio in questi giorni si sta decidendo di decretare lo stato d’emergenza per via degli sbarchi ancora in corso e potremo capire meglio cosa il Governo vorrà fare per dare corpo ad un altro importante articolo del D.l. 20/2023, cioè la costruzione in ogni regione, e quindi anche in Umbria, di un CPR (Centro Permanenza per i Rimpatri). In questi non-luoghi dedicati a non-persone, così definiti da alcuni dei maggiori studiosi e analisti dei fenomeni migratori, e considerabili delle vere e proprie carceri, verranno rinchiusi gli irregolari in attesa del rimpatrio. I rimpatri dall’Italia ai Paesi di origine dei sans-papiers sono da sempre nell’ordine di poche decine ogni anno. Si evince da questo che si vuole strutturare una sequenza che parte dal togliere sempre più tutele per arrivare alla detenzione, all’invisibilità, alla scomparsa delle non-persone, mantenendo però la visibilità totale e totalizzante del fenomeno migratorio come minaccia assoluta per le “nostre” vite. Quando a morire invece è l’altro, o piuttosto l’alterità.
Per approfondimenti:
https://www.meltingpot.org
https://www.immigrazionebologna.it
*Gionata Baldaccini è Operatore sociale, laureato in Relazioni Internazionali