
#SANITA’
Di Lorenzo Monarca
In foto: pronto soccorso dell’ospedale di Foligno [di Francesca Romana Felici]
Tanto tuonò che piovve: prendiamo a malincuore atto che la strategia del tirare a campare in attesa del vaccino non ha dato i suoi frutti (chi l’avrebbe mai detto?). Dobbiamo dircelo e ripetercelo, in pochi contesti è possibile individuare scelte oculate e lungimiranti in questo anno di pandemia. Però se è vero che nessuno ha spiccato in capacità decisionali è anche vero che la gestione locale in Umbra è stata da sempre contraddistinta da un immobilismo che nel bene e nel male altrove non c’è stato. “Sbaglia solo chi fa”, dice il detto. Noi per non sbagliarci non abbiamo fatto niente, o peggio: siamo riusciti a fare grandi pastrocchi anche su quel poco che è stato fatto. Prendiamo l’ospedale da campo della Tesei per esempio, quello finanziato da Bankitalia e una delle pochissime azioni di prevenzione e contrasto alla pandemia a nome della regione. La Tesei ne ha promesso la costruzione il 23 marzo. Il 23 marzo: quasi un anno fa! La struttura è stata consegnata alla gestione sanitaria dell’ospedale di Perugia solo la scorsa settimana (7 febbraio), dopo mille controversie burocratiche (a nostro dire anche leggermente torbide) che hanno portato al licenziamento della prima ditta vincitrice dell’appalto. “Beh – si potrebbe affermare – almeno ora è pronto per fronteggiare questa nuova micidiale ondata del covid e delle sue varianti”. Nemmeno per sogno: il progetto su carta dimenticava di un piccolo e apparentemente insignificante dettaglio, cioè che le macchine non funzionano da sole e serve il personale qualificato e specializzato. Personale che come abbiamo denunciato in passato è ai minimi termini, sia per il mancato turnover dei recenti pensionamenti (a proposito: ma quota 100 non doveva servire per far entrare i giovani?) sia per le nuove varianti che, a quanto pare, possono contagiare anche chi ha sviluppato immunità, cioè guariti e vaccinati. Da qui nasce il pasticcio sul pasticcio: la regione fa un bando per reclutare “in prestito” per un anno poco meno di 500 operatori sanitari dalle altre regioni. La questione sarebbe quasi divertente se non rappresentasse l’ennesima di una lunga serie di umiliazioni per il SSN e per i suoi dipendenti. Tra l’altro è possibile che presto anche altre regioni saranno in una situazione simile alla nostra, vessate dalle nuove varianti: cosa devono fare i medici e gli infermieri, gli uccelli migratori mese per mese?
La carenza di personale, che in questi giorni è come non mai un fardello gravoso della nostra comunità, ha riflessi sui cittadini ai quali non viene garantito un adeguato accesso alle cure ma anche sui lavoratori, che sono costretti ormai da mesi a turni sfibranti. Come si può pensare che una persona sia lucida ed efficiente dopo 10 ore di lavoro no stop? Come si può pensare di sostituire in via definitiva un collega assente aumentando le ore di lavoro dei presenti? Queste condizioni critiche sono state denunciate ieri anche da un comunicato congiunto di CGIL, CISL e UIL, che ricorda come la conversione dell’ospedale di Spoleto in ospedale covid ha “ampliato il bacino d’utenza dell’Ospedale di Foligno che, quindi, con lo stesso personale di prima, sta garantendo ormai da mesi non solo i ricoveri ordinari (provenienti in parte dello spoletino) ma anche i sempre più numerosi ricoveri Covid”.
La chiusura delle scuole di tutti i gradi è stata una tra le poche manovre con un fondo di utilità effettuate dalla giunta regionale e comunale (il sindaco Zuccarini ha prorogato in giornata l’ordinanza che sospende tutte le attività in presenza). Manovra che, come ogni restrizione da un anno a questa parte, provoca numerosi disagi, eppure è inevitabile, ora più che mai. Se la scuola come luogo assolutamente sicuro e a rischio 0 infatti è stata una menzogna da settembre (caso esemplare sotto i nostri il grande focolaio dell’anno scorso nella scuola di Belfiore che ha investito anche gli insegnanti) lo è maggiormente ora: non è ancora del tutto chiaro il motivo, ma le evidenze suggeriscono che le nuove varianti si diffondano con enorme facilità anche tra i bambini e gli adolescenti. Molte scuole umbre prima della chiusura erano già a rischio chiusura per numerosi casi di covid all’interno. Un’amministrazione ha il compito di garantire la sicurezza dei lavoratori: la chiusura delle scuole, date le evidenze scientifiche, era l’unica toppa che si poteva mettere ad una situazione fuori controllo. Il cts nazionale fa sapere che in questi giorni sta monitorando le scuole, ed è quindi probabile che l’Umbria non sia l’ultima regione a dover sospendere le attività in presenza.