
#SCUOLA
Di Daniela Riganelli
In foto: i banchi delle scuole
All’intervento di Sabina Antonelli nel numero di gennaio (“In parte superflua, in parte sbagliata. La legge sull’educazione civica a scuola”) replica in questo numero Daniela Riganelli, insegnante presso il Liceo Scientifico G. Marconi, referente dello staff di coordinamento sull’Educazione civica.
Serviva una legge per introdurre l’Educazione Civica nelle scuole? Se facciamo questa domanda agli insegnati, sono sicura che la risposta è NO nel 90% dei casi.
Ma se invece chiedessimo: il ruolo della scuola è anche quello di “…formare cittadini responsabili e attivi e a promuovere la partecipazione piena e consapevole alla vita civica, culturale e sociale delle comunità, nel rispetto delle regole, dei diritti e dei doveri”?
Alla seconda domanda ovviamente tutti rispondiamo affermativamente, e infatti tra quelle virgolette ci sono esattamente le parole dei principi fondanti la legge n°92 del 2019 che inizia dicendo “L’educazione civica contribuisce a …. ”.
Ill problema sta quindi nel metodo, ovvero nell’aver introdotto 33 ore annuali (un’ora alla settimana) che però non sono assegnate ad una singola disciplina: non è quindi un’ora in più nel curricolo scolastico, ma va suddivisa in modo trasversale e collegiale tra le varie discipline curricolari i. Tre sono i nuclei concettuali che costituiscono i pilastri della Legge:
1. Costituzione, diritto (nazionale e internazionale), legalità e solidarietà.
2. Sviluppo sostenibile, educazione ambientale, conoscenza e tutela del patrimonio e del territorio
3. Cittadinanza digitale
Ma come “obbligare” l’istituzione scolastica nel suo complesso a seguire le direttive della nuova legge? La pensata è stata di inserire un voto curricolare che sia espressione degli obiettivi di apprendimento raggiunti dal ragazzo in modo transdisciplinare ed espresso dall’intero consiglio di classe.
Questo è sicuramente l’aspetto più delicato e sicuramente anche meno nobile della legge che si basa su sani principi ma poi ricade nel solito giudizio che sembra voglia quantificare quanto sei bravo come cittadino, o peggio quanto sai di Costituzione, sviluppo sostenibile e sistemi informatici. Un metro di misura che faticosamente può tenere conto dell’aspetto complessivo della persona, le sue competenze relazionali ad esempio, o l’attitudine a comprendere e affrontare le sfide del vivere sociale. Ma tant’è, in Italia se una regola non ha un aspetto misurabile e tangibile non è nemmeno presa in considerazione, quindi i nostri ragazzi dovranno essere giudicati a scuola non solo per come si comportano (voto di comportamento), non solo per valutare se hanno raggiunto gli obiettivi di apprendimento disciplinari, che ancora troppo spesso si traducono in quante nozioni sono in grado di acquisire, ma anche per stabilire se stanno diventando dei bravi cittadini.
L’aspetto positivo della legge però è “costringere” gli insegnanti a lavorare in modo collegiale e trasversale. Dalle linee guida si legge: “La trasversalità dell’insegnamento offre un paradigma di riferimento diverso da quello delle discipline. L’educazione civica, pertanto, supera i canoni di una tradizionale disciplina, assumendo più propriamente la valenza di matrice valoriale trasversale che va coniugata con le discipline di studio, per evitare superficiali e improduttive aggregazioni di contenuti teorici e per sviluppare processi di interconnessione tra saperi disciplinari ed extradisciplinari”. Un tentativo fi indirizzarci verso quella visione sistemica e complessa tanto cara ad Edgar Morin, che vede nella scuola un luogo dove semplicemente l’insegnante avrebbe come scopo ultimo quello di “Insegnare a vivere”.
In questa visione sistemica è chiaro che i nuclei fondanti l’educazione civica non sono il fine ma il mezzo per raggiungere quelle competenze di cittadinanza che erano le fondamenta anche dell’ultima riforma della scuola ma che, a mio parere, non sono state certo al centro del cosiddetto dialogo educativo. In quest’ottica l’educazione civica non dovrà insegnare la Costituzione da un punto di vista esclusivamente giuridico, perché questo lo fa bene la disciplina “diritto” nelle classi in cui è prevista ma far vivere la
Costituzione; non dovrà aggiungere pezzi di programma atti a “spiegare” l’educazione ambientale o illustrare teoricamente gli obiettivi di sviluppo sostenibile ma dovrà far abitare la scuola in modo sostenibile e/o collaborare con l’esterno per attivare azioni di citizenscienze (cittadinanza scientifica). Per “Cittadinanza digitale” deve intendersi la capacità di un individuo di avvalersi consapevolmente e responsabilmente dei mezzi di comunicazione virtuali ma in modo trasversale e non attraverso un insegnamento specifico. Le parole d’ordine sono: “integrare” (non “aggiungere”) e “trasversale” (non “disciplinare”), quindi la vera sfida diventa quella di “vestire” tutte le discipline di quegli aspetti etico, sociale e ambientale che possono aiutare i nostri ragazzi a raggiungere anche le competenze di cittadinanza e trasversali (soft skill) che sono gli strumenti di una cassetta degli attrezzi per affrontare il mondo.
La visione disciplinare, tipica in particolare della scuola secondaria, è tutt’oggi trasmissiva e unidirezionale, le scienze ad esempio sono ancora affrontate con un metodo storico induttivo che non aiuta certo i ragazzi a far capire la forma mentis del metodo scientifico e nemmeno la complessità dei problemi e le sfide poste dalle innovazioni del nostro tempo. Loro si che dovranno imparare ad “abitare la complessità”, per gestire le incertezze del futuro e certamente la scuola non aiuta, per come è organizzata ora, e non lo farà nemmeno se per “educazione civica” intederemo “fare un po’ di Costituzione e qualche progettino di sostenibilità”. Forse la vera sfida è per noi insegnanti che dovremo imparare a uscire dai binari delle discipline e chiederci qual è il valore formativo di quanto stiamo facendo, avendo il coraggio di tagliare quella zavorra di conoscenze che sono solo imbottitura e valorizzando quei saperi fondamentali che fanno crescere i ragazzi e noi stessi, integrandoli con visioni complesse e trasversali. Personalmente sono per raccogliere la sfida del MIUR e cerco sempre di integrare l’innovazione e il futuro ai saperi consolidati intrecciando le discipline e aprendo le porte al mondo. Prima o poi anche l’Università sarà pronta a superare questa visione riduzionista e nozionistica che almeno nei test d’ingresso sembra voglia selezionare studenti-dizionari piuttosto che menti pensanti.
Sempre Morin, nell’introduzione ad Insegnare a Vivere. Manifesto per cambiare l’educazione cita queste due domande: ”Quale pianeta lasceremo ai nostri figli?”, di H. Jonas, ma anche “A quali figli lasceremo il mondo?”, di J. Semprun. Non so se l’educazione civica ci aiuterà a trovarele risposte Lascio a tutti noi la riflessione.
Consigli di lettura:
- Morin Insegnare a Vivere. Manifesto per cambiare l’educazione, Raffaello Cortina Editore, 2015
M. Cerruti. F. Bellusci, Abitare la Complessità. La sfida di un destino comune, Mimesis Piccola Biblioteca, 2020