
#LETTURE
Di Marco Parlato
Sta diventando ammirevole la pertinacia con la quale gli italiani rifiutano di affrontare i problemi. Basta mettere in pratica la florida capacità di deviare l’argomento. Che poi sia una capacità attiva oppure una incapacità di comprendere, per decretarlo servirebbero i famigerati e sempre assenti esperti.
Da qui la disputa – non sia mai che non venga allestito uno scontro tra tifoserie! – del catcalling.
Ora, sappiamo che una donna, ogni giorno, da quando esce al mattino fino a quando rientra la sera, deve sentirsi gli occhi puntati addosso e i commenti, i fischi, i versi, gli scimmiottamenti, gli inviti, i suggerimenti, le invadenze in ogni ambiente e situazione, le strombazzate di clacson, i lampeggiamenti, gli accostamenti in auto o a piedi, gli inseguimenti a passo di crociera, perché è solo un caso se certi maschi camminano sulla stessa linea di marcia, vero?; e dopo tutto ciò deve sentirsi pure spronata a essere contenta di ricevere tanti complimenti. “Li ricevessi io”, le dice qualche amica, che purtroppo è parte del problema.
Così come sono un problema le troppe donne che ultimamente si sono lanciate in arringhe brillanti – questo lo credono loro – contro Ursula von der Leyen. Di conseguenza la presidente della commissione europea, considerate le responsabilità mondiali e professionali, non solo ha dovuto subire il dispetto infantile di un dittatore infame, ma persino le bavose lezioncine politiche e morali di pasionarie da salotto. Giusto perché prendersela con la vittima è sport nazionale.
Abbiamo impiegato quasi un articolo per sintetizzare, tralasciando molti aspetti, una rogna diffusa in tutto il mondo, che potrebbe occupare pagine e pagine, volumi, biblioteche. E per fortuna molti testi si trovano. Da anni.
Dunque è tragicomico leggere le lamentele italiane per il catcalling in quanto parola inglese.
Non sarà certo colpa della DAD se adulti diplomati, e volentieri laureati, ancora non hanno chiara la natura dinamica di una lingua. Ma voglio esibirmi in un colpo di scena: potrebbe pure andarmi bene non utilizzare un termine inglese. Sì, andiamo al sodo, evitiamo gli eufemismi e chiamiamole molestie. Perché sono molestie.
D’altra parte gli stessi anglofoni parlano di “street harassment”.
Decisa la convenzione, però, sono pronto a scommettere che sboccerebbero, non meno dell’erbaccia negli orti, i minimizzatori pronti a dire che ora stiamo esagerando, che non c’è nulla di male, che non si può dire più nulla, che tutti si offendono. La solita strategia del capovolgimento: chi si offende è fetente e a me, povera vittima, viene impedito il diritto di molestare le donne.
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