
#storiaememoria
Di Alessandro Sorrentino
In foto: La copertina del libro “Il Fascismo a Foligno”
Antonio Nizzi con il suo volume di recente uscita Il fascismo a Foligno. Dagli anni Trenta al 25 luglio 1943 (Jacobilli, Foligno 2022) parte da un proposito molto forte, ovvero quello di superare la «rimozione» del fascismo dalla storiografia locale. Tale proponimento è sentito in maniera ancora più urgente in questi giorni, durante i quali ricorre il centenario dalla Marcia su Roma dell’ottobre 1922.
È un urgenza che personalmente mi sento di condividere, non solo a causa delle mie vicende personali che mi rendono piuttosto sensibile al tema visto che in passato ho studiato la destra italiana postfascista o neofascista in alcuni suoi aspetti, ma anche per un’altra ragione che è quella di più stretta attualità: ci troviamo, che ci piaccia o no, di fronte ad una Regione e una città che negli ultimi hanno decisamente virato a destra ed è quindi quantomai necessario studiare e approfondire la storia e la memoria della destra umbra e folignate e ben si comprende come il fascismo non possa non essere il punto di partenza di questa analisi.
Il volume di Nizzi di certo non rappresenta il primo contributo sul fascismo umbro ma si inserisce in un filone cominciato nel 2011 con il volume imprescindibile di Leonardo Varasano (L’Umbria in Camicia Nera, 2011) e continuato da Angelo Bitti (Il fascismo nella provincia operosa. Stato e società a Terni (1921-1940), 2012), e lo fa con un contributo di carattere ben diverso dai due citati, con taglio non scientifico anche per ammissione dello stesso autore che nell’Introduzione afferma chiaramente; «Non si è trattato di fare la storia, seppur sintetica, di come Foligno visse le guerre del fascismo e del secondo conflitto mondiale, quanto piuttosto di mostrare come alcuni giornali l’hanno registrata e raccontata come andava svolgendosi».
Dalla lettura emerge così un volume che, per forza di cose, fa della stampa la sua fonte principale e dei giovani il suo soggetto più importante, come del resto indica già il sottotitolo (Il consenso e la mobilitazione, i giovani e la guerra nella stampa di regime). Dalla puntuale, accurata e attenta disamina dei fogli di regime e della Gazzetta di Foligno, unico giornale che resiste alla censura per via della sua storia e del suo consenso diffuso e non tiepido al regime, si possono tuttavia ripercorrere, in parte, i momenti salienti della Foligno fascista in un periodo ben circoscritto che va dagli anni ’30 al 25 luglio 1943, data che, come noterà lo stesso autore, «segna per la maggioranza dei folignati la fine del fascismo».
Il quadro è quello di una Foligno che in questi anni rappresenta, come molti altri centri italiani, l’esempio della pressoché perfetta città fascista, segno che l’opera di propaganda del regime, invasiva e attenta, dava i suoi frutti. Ed effettivamente la stampa folignate sembra essere testimonianza di questo, dimostrandosi come uno degli strumenti principali di tale propaganda, e questo si evince chiaramente dalla lettura del volume. L’opera propagandistica fascista poggia anche su altri due strumenti importanti che emergono in maniera evidente dall’analisi di Nizzi: il primo sono le organizzazioni giovanili, non tanto per il lavoro dell’Opera Nazionale Balilla ma soprattutto per quello svolto dalla Gioventù Italiana del Littorio, con anche un buon attivismo dei gruppi femminili; il secondo è indubbiamente l’apporto convinto di gran parte della classe docente folignate che, se sembra non fare politica a scuola per ammissione degli stessi studenti, sembra essere molto attiva nelle piazze e sulla stampa almeno fino al 1942.
Dall’analisi di Nizzi si può notare come Foligno sia specchio fedele, nel suo cammino di città fascista, delle varie fasi del regime, così come ce le presenta lo storico del fascismo Renzo De Felice nella sua monumentale ed essenziale biografia mussoliniana (Mussolini, 1965-1997, Einaudi). Attraverso gli articoli del Giornale d’Italia, della Gazzetta di Foligno si può osservare il momento di massimo consenso del ventennio mussoliniano che parte dalle guerre fasciste in Etiopia del 1935-1936, simboleggiata dalla celebre “Giornata delle fedi” cui i folignati parteciparono con convinzione, e arriva fino alle soglie del secondo conflitto mondiale, passando per la guerra civile spagnola, momento nel quale perfino la stampa cattolica cittadina mostra un’adesione fervente al fascismo.
Seguono gli anni del conflitto durante i quali alla fiducia entusiastica per la guerra lampo hitleriana si sostituirà la propaganda ingannevole che ometterà sconfitte e perdite e che costringerà a leggere «tra le righe» per intravedere i segnali della catastrofe imminente. Strumento di consenso in questa fase per la stampa folignate, in particolare del giornale La Fiamma sono le lettere dei soldati folignati dal fronte, di gran lunga una delle fonti più interessanti che il volume di Nizzi contribuisce a “spolverare” dagli archivi. Tra le righe di queste epistole si possono minimamente scorgere le vere sorti della guerra, specie nel 1942-1943 quando, dopo le sconfitte di El Alamein e la ritirata dalla Campagna di Russia la sorte dell’Italia sarà segnata.
Le ultime pagine sottolineeranno come alla vigilia della fine del fascismo persino la stampa di regime riuscirà a dissimulare a fatica la fine imminente del ventennio, al punto che la stessa stampa diventa suo malgrado una testimonianza del collasso fascista, con i suoi articoli tesi a incutere timore alle prime avvisaglie di dissenso e disaffezione per la causa mussoliniana.
Insomma, il volume di Nizzi va letto perché riempie un vuoto che riguarda la storia della nostra città, una storia lunga vent’anni che ha inevitabilmente segnato la Resistenza e anche quel dopoguerra di cui invece è stato scritto molto di più (sulle ragioni di questo silenzio segnalo la preziosa Postfazione al volume di Luciana Brunelli). Ma dico di più, il volume di Nizzi andrebbe letto anche perché possa aprire una stagione di studi nuovi sulla destra cittadina, non solo fascista, ma anche neofascista e postfascista. Sul periodo precedente a quello analizzato da Nizzi, Sedicigiugno sta dando il suo contributo con la rubrica portata avanti da Fabio Bettoni, “Inviato dal XX secolo”.